Qualche tempo fa (https://bit.ly/PFASalarm), vi avevamo parlato dei PFAS e del processo penale vicentino per disastro ambientale che vede coinvolta la Miteni S.P.A., azienda considerata dall’accusa la causa dell’inquinamento delle falde acquifere da sostanze perfluoroalchiliche in Veneto.
Quella che interessa le province di Vicenza, Verona e Padova è forse, per area geografica e numero di persone coinvolte, la contaminazione da Pfas più estesa del mondo e, peraltro, non riguarda unicamente l’acqua potabile. Infatti, dalle analisi dell’Istituto Superiore di Sanità - che nel 2017 aveva analizzato oltre 1.200 campioni di alimenti prelevati nella zona rossa (tra vegetali e prodotti di origine animale) - emerge che i prodotti maggiormente contaminati, tra quelli analizzati, sono le uova di gallina (fino a 37.600 nanogrammi in un chilo), seguite dal fegato di maiale (fino a 36.800 nanogrammi/chilo) e dalle carpe (fino a 18.600 nanogrammi/chilo).
I dati sono stati resi noti solo a settembre di quest’anno in conseguenza della battaglia legale contro la regione Veneto portata avanti da Greenpeace e dall’associazione Mamme NO PFAS, attraverso la quale sono riusciti ad ottenere un accesso a queste analisi ufficiali. Sulla base di questi dati è stato realizzato, da ricercatrici e ricercatori dell’Università di Firenze e dell’Università di Padova, con il contributo delle due associazioni sopra menzionate, lo studio “Sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) negli alimenti dell’area rossa del Veneto” (che potete trovare qua https://bit.ly/articoloricercaPFAS).
È giusto precisare che i dati richiesti non sono stati forniti in maniera completa ed esaustiva ma, nonostante ciò, lo studio conferma la contaminazione diffusa negli alimenti provenienti dall’area rossa e fa emergere inoltre che i prodotti di origine animale sono di gran lunga più contaminati rispetto a quelli vegetali: informazioni utili per continuare a studiare e a monitorare la questione.
“È paradossale che ancora una volta siano Greenpeace e le Mamme NO PFAS a svolgere il ruolo che spetterebbe agli enti preposti, appellandosi agli scienziati per cercare di comprendere appieno come i PFAS si distribuiscano negli alimenti provenienti dai comuni dell’area rossa” hanno dichiarato Greenpeace e le Mamme NO PFAS in un’intervista. “D’altra parte, che cosa possiamo aspettarci dal governo di una Regione che a partire dal 2017, anno dell’ultimo monitoraggio, non è stato in grado di analizzare alcun nuovo campione e ha fatto dell’inerzia il suo mantra? Ci auguriamo che il nuovo monitoraggio, promesso di recente da alcuni funzionari regionali in seguito alle nostre denunce, tenga conto delle gravi criticità che interessano gli alimenti provenienti da tutta l’area attraversata dal fiume Fratta, e non solo dal tratto che ricade nella zona rossa”.
Proprio grazie alla continua attenzione e denuncia di queste associazioni, dal 30 novembre al 4 dicembre in Veneto è arrivata una missione dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani per cercare di fare luce su queste sostanze tossiche e capire gli effetti di un tale disastro ambientale sulla popolazione.
Ma non solo. La finalità della missione è anche quella di assicurare che siano stati rispettati i diritti dei moltissimi cittadini che vivono in quest’area: in particolare il diritto alla vita, alla salute e ad un ambiente sano, il diritto all’informazione e il diritto ad ottenere un rimedio effettivo all’inquinamento provocato, presumibilmente, dalla Miteni (diritti sanciti nero su bianco da alcuni articoli della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo).
Qui (https://bit.ly/letteraONU) potete trovare la lettera di denuncia inviata all’ONU da Michela Piccoli di Mamme NO PFAS e Alberto Peruffo di PFAS.land , organo di informazione e azione dei gruppi-comitati-associazioni che vivono nelle terre contaminate da PFAS, che ha svolto una funzione cruciale nel portare l’attenzione delle Nazioni Unite sul caso.
Nella lettera, tra il resto, si accusano le istituzioni di scarsa trasparenza nei confronti dei cittadini che hanno il diritto di sapere cosa sta realmente accadendo sul loro territorio.
Infatti, come accennato, è stata necessaria una battaglia legale (ricorso al Tar) per ottenere dalla regione Veneto i dati relativi alla presenza di Pfas negli alimenti, come effetto dell’inquinamento causato dalla Miteni di Trissino.
Ma la poca chiarezza degli enti pubblici appare anche dalla più recente decisione della maggioranza del consiglio regionale di bocciare una mozione volta a diffondere un vademecum sanitario tra le popolazioni delle zone colpite; vademecum finalizzato proprio ad informare gli abitanti delle province di Vicenza, Padova e Verona sulla gravità dell’inquinamento della falda idrica da sostanze perfluoroalchiliche, con l’indicazione delle misure e delle precauzioni sanitarie da adottare, nonché degli esami diagnostici a cui sarebbe bene sottoporsi.
La bocciatura di questa richiesta è arrivata poco prima della missione ONU, sicuramente non un ottimo biglietto da visita da presentare a Marcos A. Orellana, rappresentante dell’Alto Commissariato dei Diritti Umani che è stato in Veneto la scorsa settimana.
Nel corso della sua visita ha incontrato diverse autorità ed enti locali, regionali e nazionali, ma anche i cittadini che vivono ogni giorno sulla propria pelle la sfida di abitare in un territorio che è teatro di uno dei più gravi casi di inquinamento a livello internazionale.
Per avere i primi riscontri legati a questa indagine attendiamo la conferenza stampa che si terrà a Roma il 13 dicembre, mentre per avere la relazione completa bisognerà aspettare il prossimo anno.
L’indagine è appena iniziata, ma visti i presupposti è possibile ipotizzare che in Veneto sia avvenuta una violazione dei diritti umani.
Nel frattempo, il processo che vede imputati i manager dell’azienda Miteni e delle controllanti Mitsubishi e Icig per avvelenamento delle acque e disastro ambientale avanza e si sta svolgendo l’istruttoria dibattimentale nel corso della quale verranno sentiti numerosi testimoni.
Non è certo il momento di abbassare lo sguardo ed è anzi fondamentale tenere alta l’attenzione sulla situazione veneta, sperando che l’intervento dell’ONU possa portare a livello internazionale la conoscenza di questo crimine ambientale e possa dimostrare che quanto accaduto abbia calpestato i diritti di moltissimi cittadini che attendono giustizia.
A cura di Laura Olivero
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