Fermi tutti. Scusate, c'eravamo sbagliati.
Lunedì abbiamo pubblicato questo post http://bit.ly/SultBrunei, nel quale si raccontava della lettera che il Parlamento Europeo ha inviato al Sultano del Brunei in seguito alla riforma del codice penale, che reintroduce gravi pene corporali e pena di morte per reati come furto e rapina, ma anche per adulterio ed omosessualità. Nel post davamo conto, con tono preoccupato, della risposta del Sultano che pareva invece minimizzare le potenziali violazioni dei diritti umani.
Ciò che non potevamo immaginare era però il reale contenuto della lettera spedita dal Sultano, che ha risposto in grande stile alle osservazioni del Parlamento, regalando al mondo intero una memorabile pagina di diritto.
Dopo aver analizzato l’intero documento, dobbiamo chiedere scusa come giuristi per non aver compreso l’evidente spirito progressista dell’intera riforma, probabilmente così avanzato da non permetterci di coglierlo a pieno.
In uno stucchevole e zuccheroso florilegio di salamelecchi, il Sultanato para le accuse mosse dal Parlamento Europeo e illumina le nostre ottenebrate menti.
Innanzitutto, rimarca la propria sovranità e autonomia – peraltro mai messe in discussione – rivendicando anzi una secolare tradizione di pace e prosperità, ove fondanti sono stati i valori religiosi. I diritti umani, in quest’ottica, non possono essere acriticamente accettati, ma devono essere calati nel particolare contesto socio-culturale-giuridico (più una serie di altri aggettivi). Traduzione: i diritti umani li gestiamo come meglio crediamo, con buona pace della vostra tradizione occidentale.
Poteva forse mancare un appello al rispetto e alla tolleranza dell’altrui tradizione? Sarebbe stato come privare il pranzo di Pasqua dell’agnello, quindi ecco che il Sultanato si appella a questi valori per difendere la riforma del codice penale. Ironico che rispetto e tolleranza siano invocati da chi considera l’omosessualità un reato, ma sicuramente sarà tutto spiegato nel prosieguo della missiva.
Ecco infatti che giunge il momento più prettamente didascalico, e chi legge ha proprio la sensazione di assistere a un grande momento di civiltà giuridica.
È necessario sapere che l’ordinamento del Brunei ha natura duale: da un lato la Syariah, applicata ai cittadini professanti la fede islamica, dall’altro un sistema ispirato al common law, per chi appartiene ad altre religioni.
Il crepitìo che si sente in sottofondo è dovuto all’art. 3 della Costituzione che è andato incontro ad autocombustione.
All’interno di questo sistema, i reati di adulterio e sodomia servono a preservare i valori della famiglia, con particolare riguardo per le donne. Queste birichine. Tuttavia, sono reati e pene che si applicano solo ai musulmani, oppure a chi dovesse commetterli con un musulmano, poiché il suo atto intaccherebbe la purezza della fede.
Entrando più nel dettaglio, si chiarisce che non si sottopone mica chiunque all'hadd (lapidazione con fine di morte o amputazione): occorre che non meno di due o quattro uomini (a seconda dei casi, si presume) di alto valore morale abbiano testimoniato.
Falso allarme, possiamo tutti tirare un sospiro di sollievo.
Addirittura, ci spiega il Sultano, si tratta di una soglia di certezza ben più alta del cosiddetto "oltre ogni ragionevole dubbio", impiegato nei sistemi di common law e, dal 2006, anche in Italia. Insomma, standard probatori così rigorosi garantiscono che le pene siano inflitte solo quando la certezza sia granitica, a prova di bomba. Incredibile non averci pensato prima.
Per non parlare delle frustate: il colpevole (o vittima? La distinzione sfuma) sarà vestita e il fustigatore non potrà alzare la frusta sopra la propria testa né rompere ossa e lacerare la carne, ma anzi dovrà infliggere i colpi con moderata forza. Un capolavoro di garantismo, chissà come ha fatto la comunità internazionale ad indignarsi.
La rassegna è conclusa con uno dei casi più complessi, quello della pena di morte: viene ribadita la necessità di soddisfare rigorose richieste probatorie ma, soprattutto, questa potrà essere evitata grazie al perdono da parte dei parenti della vittima o, se richiesto dai medesimi, col pagamento del diyat, che viene tradotto in inglese con ‘blood money’. Insomma, la pena di morte dipende dalla benevolenza della famiglia della vittima: dovessero essere rancorosi, sarà difficile farla franca.
Del resto, queste regole non è che siano state inventate da qualche legislatore particolarmente virulento, ma derivano direttamente da Allah e dal Corano, quindi non è che possano essere ignorate in alcun modo. Quest’ultima frase non è inventata, ma è la traduzione del paragrafo 15 della lettera.
Che abbaglio abbiamo preso!
Non ci resta che correggere il tono ingiustamente critico adottato nel precedente post, invitando tutti quanti a guardare al Brunei come la nuova frontiera di tutela dei diritti umani.
P.S.: in caso fosse sfuggito, questo articolo ha un contenuto volutamente sarcastico. Avremmo potuto trattare la questione sotto un profilo più asettico e giuridico, ma il tono stesso della lettera del Sultano ci è parso un tale capolavoro di trollata da meritare una risposta sulla medesima falsariga.
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