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Controverse agevolazioni

La Legge 30.12.2018, n. 145, introduce il diritto ad un’agevolazione contributiva in favore dei datori di lavoro che assumano cittadini in possesso di due requisiti: innanzitutto laurea magistrale con la votazione di 110 e lode e con una media ponderata di almeno 108/110; in aggiunta, il titolo dev’essere stato conseguito entro la durata legale del corso di studi e prima del compimento del trentesimo anno di età (c.d. “eccellenze”).



Ad avviso di Strali sono due i profili di incongruità da considerare:

  1. Per la prima volta tale agevolazione viene concessa all'azienda e non direttamente al soggetto che con merito si distingue; ciò porterà il datore di lavoro a scartare chi, pur dotato di eccellenti capacità e con ottimi risultati, non ha avuto la possibilità di concludere il percorso di studi in tempo – perché impegnato a lavorare per pagarsi gli studi, per esempio - il tutto in nome di una pura questione di vantaggi economici. In passato, i benefici venivano accordati direttamente alla persona (tramite borse di studio o vantaggi fiscali), premiando così il merito ma senza creare iniquità tra candidati in sede di assunzione, come è corretto che avvenga.

  2. Di norma, i benefici contributivi vengono correttamente accordati al datore di lavoro che assuma chi si trovi in condizioni di svantaggio sociale e/o economico, da determinarsi attraverso criteri oggettivi quali, ad esempio, l’iscrizione in liste di disoccupazione, l'età anagrafica, lo stato di detenzione. Il profilo della cosiddetta eccellenza è invece determinato da criteri ingiustificatamente disomogenei e non oggettivi. Un 110 ha evidentemente valori diversi a seconda dei fattori personali cui abbiamo accennato sopra e non è accettabile che la votazione e la conclusione del percorso di studi entro il termine legale possano essere criteri determinanti per l'ottenimento di sgravi contributivi. Ciò determinerebbe quindi gravi discriminazioni che, per di più, non avverrebbero sulla base del merito valutato caso per caso, bensì facendo ricorso a criteri aprioristici.

La norma in questione è inaccettabile. Oltre a non vedere il senso di ribaltare il beneficio che (giustamente) dovrebbe andare al soggetto meritevole e non all'azienda, la riforma favorisce discriminazioni nel mercato del lavoro determinando una violazione che, a parere di StraLi, si scontra con il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della nostra Costituzione, nella parte in cui proibisce distinzioni sulla base di condizioni personali e sociali.


Perché l’illegittimità della norma venga meglio compresa, ecco una situazione che verosimilmente potrebbe verificarsi d’ora in avanti: un datore di lavoro ha di fronte il curriculum di due soggetti. Il primo è in possesso dei requisiti di legge per ottenere il contributo mentre il secondo, pur essendo parimenti competente, ha dovuto lavorare per mantenersi, terminando il percorso di studi sei mesi più tardi del termine indicato dalla norma. Il datore di lavoro probabilmente non chiamerà nemmeno a colloquio il secondo candidato, sapendo che il primo gli porterà un vantaggio economico. Il secondo candidato non solo non verrà premiato ma, al contrario, penalizzato nell'ottenimento di un lavoro.


Appare evidente come questa norma, lungi dall’avere un effetto premiale, introduca invece un’ingiusta ed ingiustificata distinzione. Il merito di un candidato emergerà in sede di valutazione da parte del datore di lavoro e non dev’essere fissato dalla legge in base a parametri decisi arbitrariamente.

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