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COP26: PIÙ DOLORI CHE GIOIE

Venerdì 12 novembre ha avuto ufficialmente fine la Cop 26, che si è tenuta a Glasgow.

La Cop - Conference Of Parties - è l’organo direttivo della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), e si tiene ogni anno, con l’obiettivo di implementare il disposto di questa Convenzione.



Nell’ambito delle Cop sono stati compiuti passi rilevanti - almeno formalmente- per contrastare gli effetti negativi derivanti dal cambiamento climatico; si pensi, in primo luogo, al Protocollo di Kyoto, elaborato nel 1997. Inoltre, è noto l’accordo cui le parti sono giunte alla Cop21 di Parigi del 2015, conosciuto appunto come “Accordo di Parigi”.

L’importanza di questo documento risiede nel fatto che la Comunità Internazionale si è impegnata a contenere l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2 gradi centigradi, e possibilmente entro 1,5 gradi. Inoltre, sono stati adottati gli “NDC - Nationally Determined Contributes”, cioè un piano da aggiornare e ripresentare ogni cinque anni che delinei la strategia che ogni Paese intende adottare per mitigare (ridurre le emissioni) e adattarsi (ridurre gli impatti) ai cambiamenti climatici.


La Cop26 aveva dunque molte aspettative da soddisfare: avendo saltato un anno per via della pandemia, era il momento in cui tirare le fila dopo Parigi 2015.

Ciononostante, l’accordo siglato a Glasgow non soddisfa appieno le associazioni ambientaliste (Greenpeace lo ha definito un testo debole), e non è riuscito, nonostante sia stato ammantato da una patina di greenwashing, a porsi quegli obbiettivi davvero ambiziosi che sono di anno in anno sempre più urgenti e necessari per scongiurare la catastrofe climatica.


In particolare, il fallimento più grande si è verificato l’ultimo giorno di negoziazioni: l’India ha proposto l’emendamento di sostituire la progressiva eliminazione (phase-out) del carbone con la sua riduzione (phase-down). Inoltre, nonostante sia stato mantenuto nel testo l’impegno della comunità internazionale a contenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5 gradi centigradi, gli NDCs presentati dagli Stati non paiono sufficienti al raggiungimento di detto scopo. Altro obbiettivo che figurava già nell’Accordo di Parigi, ed è stato fortunatamente “salvato” nel testo siglato a Glasgow, è quello di ridurre le emissioni di diossido di carbonio del 45% entro il 2030. Tuttavia, anche in questo ambito gli attuali NDC non sono sufficienti; anzi, come sottolinea ClientEarth, anche se gli attuali NDC venissero completamente implementati, il livello di emissioni entro il 2030 sarà addirittura aumentato (rispetto a quello del 2010).


Altra nota dolente riguarda i fondi stanziati per i Paesi in via di sviluppo per l’adattamento e la mitigazione delle conseguenze negative del cambiamento climatico. Infatti, in precedenza erano stati assicurati 100 miliardi di dollari all’anno; tuttavia, l’accordo non riporta questa promessa, lasciando i Paesi in via di sviluppo, che hanno contribuito in maniera esigua all’attuale situazione climatica con il loro scarsissimo numero di emissioni, e sono quelli più a rischio, in una situazione precaria e pericolosa. Positivo invece deve ritenersi il riferimento ai combustibili fossili, che sono stati per la prima volta (per assurdo che possa sembrare) nella storia delle Cop menzionate in un accordo ufficiale.


Dal punto di vista politico, è stata accolta con favore la presentazione di un documento congiunto Cina-Usa, che, pur non essendo adeguato alla sfida che si pone, auspica una collaborazione futura della quale si sente il bisogno.

Dal punto di vista della strategic litigation, ClientEarth sottolinea che l’avvenuto riconoscimento del ruolo fondamentale delle popolazioni indigene e dei giovani nell’azione climatica può costituire un’ottima base per instaurare procedimenti legali contro i Governi che non raggiungano gli obbiettivi che si sono preposti nell’ambito della Cop26 (ed in futuro).


In conclusione, dato che le decisioni nell’ambito della Cop26 devono essere prese all’unanimità, non si può non notare che vi era elevata probabilità che il testo finale non fosse molto ambizioso ma anzi sostanzialmente moderato, dovendo mettere d’accordo tutti i 197 Paesi partecipanti.

La pressione dei giovani, delle organizzazioni ambientaliste, delle popolazioni indigene e dei Paesi in via di sviluppo è stata fondamentale per il raggiungimento delle vittorie ottenute -seppur pallide. Tuttavia, molto ancora rimane da fare per raggiungere l’auspicato obbiettivo del contenimento dell’aumento di temperatura entro 1,5 gradi centigradi, e la società civile, con gli strumenti della pressione politica, dell’attivismo, e anche della strategic litigation ha un ruolo fondamentale in questa partita.


A cura di Virginia Cuffaro



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