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COSA SONO I CRIMINI DI GUERRA E PERCHÈ È IMPORTANTE CONOSCERLI E PUNIRLI


La Comunicazione di StraLi, UpRights e Adala for All.


Il 17 gennaio 2022 StraLi, insieme alle ONG UpRights e Adala for All, ha presentato una Comunicazione all’ufficio del Procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI) affinché avviasse delle indagini per crimini di guerra perpetrati in Libia contro le persone migranti.



I fatti su cui la Comunicazione si concentra riguardano le atrocità commesse nei centri di detenzione contro le persone migranti tra il 2017 e il 2021. I centri di detenzione libici sono gestiti da milizie e gruppi armati che a partire dal 2011 hanno preso (e tutt’ora prendono) parte al conflitto armato. Tra gli abusi e le violazioni commesse, come ampiamente documento da una molteplicità di fonti, si annoverano condizioni di vita disumane e degradanti, scarsità di cibo e acqua, torture, lavori forzati, violenze sessuali e stupro.

Prima di valutare il merito della Comunicazione, però, è importante comprendere cosa sono i crimini di guerra, e qual è la portata dell’atto da noi presentato.

La principale definizione di crimine di guerra è da ricercarsi nell’art. 8 dello Statuto di Roma che, nel 1998, ha stabilito la Corte Penale Internazionale (CPI), esplicitando i presupposti affinché una determinata condotta possa essere definita crimine di guerra. Innanzitutto, l’atto deve essere avvenuto in un contesto di ostilità, e cioè durante un conflitto armato (sia esso internazionale o interno allo Stato, ad esempio in una guerra civile). Il nesso che deve sussistere tra la condotta e l’esistenza di un conflitto armato è, di fatto, una pre-condizione per l’esistenza di un crimine di guerra. La condotta, poi, deve consistere in una grave violazione di diritto internazionale umanitario (ossia di una norma – consuetudinaria o convenzionale, come le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 o i loro Protocolli Aggiuntivi del 1977 – che regola il contesto di conflitto), da cui emerge una responsabilità penale personale. Per quanto concerne l’elemento oggettivo del reato, cioè la condotta in questione, questa si deve sostanziare contro una categoria di persone o di beni protetti, come sono – secondo i principi del diritto internazionale umanitario – la popolazione civile o altri soggetti considerati vulnerabili come quelli che hanno lo status prigionieri di guerra (il cui attacco diretto e volontario ravvisa un crimine di guerra), e i beni o le infrastrutture c.d. civili. Deve sussistere anche un particolare approccio psicologico del soggetto (l’elemento soggettivo del reato) ossia l’intento, la conoscenza e la volontà (e dunque il dolo) di attaccare la popolazione o beni civili o di compiere uno di quegli atti elencati all’art. 8. La norma annovera tra le condotte rappresentanti crimini di guerra, tra gli altri, assoggettare le persone a mutilazioni fisiche; utilizzare veleni o armi chimiche; commettere torture o altri trattamenti inumani o degradanti, incluso stupro, schiavitù sessuale, e prostituzione forzata.

È anche importante sottolineare la complementarietà della giurisdizione della CPI: la Corte, infatti, “entra in gioco” solo quando lo Stato che ha giurisdizione sui i fatti, non ha iniziato un procedimento penale (indagine o processo), o, in ogni caso, non vuole o non è in grado (“unwilling or unable”) di processare la persona responsabile di uno di tali crimini (art. 1). E ancora, è cruciale menzionare come in linea di principio la CPI non abbia giurisdizione automatica sui crimini internazionali commessi in tutti gli Stati. Infatti, la CPI esercita giurisdizione solo su quei reati commessi sul territorio degli Stati che hanno ratificato lo Statuto di Roma, o sono stati commessi dai suoi cittadini. Questo comporta che se uno Stato non ha ratificato lo Statuto, come la Siria, la Russia, gli USA, o la stessa Libia, crimini commessi sui questi territori non potrebbero rientrare nella giurisdizione della CPI.

Come può essere superata questa impasse?

Ci sono, in teoria, diverse vie affinché la CPI possa acquisire giurisdizione e quindi lavorare per evitare l’impunità di crimini internazionali. Da una parte, è possibile che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, tramite una Risoluzione vincolante, istituisca un Tribunale ad hoc per specifici eventi (come nel caso dell’ex Jugoslavia o del Ruanda). È necessario, però, ricordare come nell’ambito del Consiglio di Sicurezza dell’ONU ci siano i cinque membri permanenti (Regno Unito, USA, Russia, Francia e Cina) aventi il c.d. potere di veto, che dà loro quindi la possibilità di opporsi all’adozione di una determinata Risoluzione (art. 27, para. 3, Carta ONU). Questo, in termini concreti, fa sì che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU molto difficilmente potrà istituire, per esempio, un Tribunale Speciale che possa perseguire i crimini di guerra perpetrati da parte russa nell’attuale conflitto in Ucraina.

Esiste, poi, il principio di giurisdizione universale, che dà la possibilità ad uno Stato di agire contro crimini internazionali anche quando tali crimini non sono avvenuti sul suo territorio e né la vittima né l'autore sono cittadini di quello Stato, così prevenendone l’impunità. Questo è il caso della pronuncia adottata nel gennaio 2022 da un Tribunale regionale superiore in Germania contro Anwar R, ex alto funzionario siriano che è stato riconosciuto colpevole di crimini contro l’umanità.

Infine, come nel caso della Libia (che, come detto, non è Stato Parte dello Statuto di Roma), il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha adottato una Risoluzione (Risoluzione 1970 (2011)) tramite la quale ha ufficialmente portato all’attenzione dell’Ufficio del Procuratore della CPI le gravi violazioni internazionali commesse sul territorio libico nel contesto del conflitto armato dal 2011. La relativa ambiguità della Risoluzione 1970 (2011), ha spinto la CPI, nel caso Al-Werfalli del 2017, ha precisare che l’esercizio della giurisdizione della CPI fosse limitato ai crimini associati al conflitto armato in Libia. Infatti, dal 2011 la Libia è stata (ed è ancora) teatro di persistenti scontri tra vari gruppi armati. Il conflitto è stato, infatti, qualificato come un conflitto armato continuo (di carattere non internazionale), sia dalla CPI sia anche dalla Fact-Finding Mission ONU sulla Libia. Questo ha rappresentato, quindi, un primo requisito affinché StraLi, insieme ad UpRights and Adala for All, potesse presentare la Comunicazione lo scorso anno.

In tale contesto, l’analisi del legame tra i crimini contro le persone migranti in detenzione e il conflitto è stato uno dei punti principali della Comunicazione. Questo proprio per la sua duplice funzione. Da una parte provava la qualificazione degli abusi contro le persone migranti come crimini di guerra, dall’altra attestava che tali crimini rientravano nella giurisdizione della CPI ai sensi della Risoluzione 1970 (2011).

Come ampiamente documentato sia da fonti istituzionali (come l’ONU) sia da molteplici ONG, in questi centri di detenzione le persone migranti si trovano a subire gravi abusi e violazioni ad opera dei membri di queste milizie che partecipano al conflitto civile ancora in essere. Queste gravi violazioni sono, a tutti gli effetti, qualificabili come crimini di guerra ai sensi dell’art. 8 dello Statuto di Roma, essendo strettamente legate al conflitto esistente in Libia. Nello specifico, tra il 2017 e il 2021, i gruppi armati responsabili dei sei centri di detenzione hanno sottoposto le persone migranti a molteplici atrocità: le vittime sono state detenute in condizioni di vita inaccettabili, in spazi sovraffollati, senza ventilazione, con scarse condizioni igieniche e cibo inadeguato. Molte sono state sistematicamente torturate e maltrattate e finanche uccise. Le informazioni disponibili indicano anche casi di stupro e schiavitù sessuale.

L’attività di analisi e lo studio del conflitto libico hanno permesso di collegare tali violazioni al conflitto presente in Libia dal 2011.

Infatti, gradualmente, le milizie armate hanno riorientato le loro attività e iniziato ad “occuparsi” di traffico di esseri umani, utilizzandolo per scopi politici e militari. Dopo il 2017, per creare un’affiliazione con l’allora Governo Serraj, le milizie hanno iniziato a gestire i c.d. centri di detenzione, in un’ottica di “contenimento del fenomeno migratorio” – divenendo, così, a tutti gli effetti, soggetti “legittimati” sia da un punto di vista interno che nello scenario di cooperazione con gli Stati europei. In particolare, la Comunicazione analizza, quali esempi concreti, sei centri di detenzione, che sono sotto il controllo effettivo di gruppi armati e hanno ospitato (e ancora ospitano) migliaia di persone migranti, incluso minori, la maggior parte delle quali intercettate dalla Guardia Costiera Libica (LCG) che son soggetti a una litania di abusi e violenze.

Nella pratica di questi sei campi, il legame tra i crimini contro le persone migranti in detenzione e il conflitto è anche emerso dal fatto che i gruppi armati responsabili dei centri di detenzione e dei crimini che si verificano al loro interno hanno partecipato (e partecipano ancora) al conflitto in corso. Le persone migranti sono state forzate a prendere parte a attività di tipo militare, come la movimentazione o la manutenzione delle armi; e in alcuni casi, sono state finanche costrette a partecipare alle ostilità. Inoltre, queste milizie hanno il loro quartier generale negli stessi complessi dei centri di detenzione e/o hanno il controllo militare dell’area in cui si trovano i centri stessi. Senza questo controllo, non sarebbero (stati) in grado di gestire i centri e, di conseguenza, commettere tali crimini. Questo stabilisce un chiaro legame tra il conflitto e la commissione dei crimini qualificandoli crimini di guerra e attraendo la giurisdizione della CPI.

Infine, è importante anche sottolineare che la Comunicazione ricostruisce che, benché questi crimini siano (stati) commessi nella pratica da soggetti appartenenti alle milizie armate, agli stessi abbiano contribuito una molteplicità di attori, inclusi il personale della LCG che assicura l’intercettazione e il trasferimento delle persone migranti nei centri di detenzione, e le autorità di Stati europei, come quelle italiane e maltesi, che hanno assistito la LCG nel poter effettuale le sue attività e riportare le persone migranti in Libia (attraverso la fornitura di beni, attrezzature, manutenzione e formazione). Questi attori potrebbero essere riconosciuti, pertanto, come responsabili di tali crimini internazionali.

Dal gennaio 2022, ci sono state delle evoluzioni importanti circa le indagini sulla situazione in Libia e il ruolo che la nostra Comunicazione ha svolto. Nell’aprile 2022, infatti, durante un periodico aggiornamento al Consiglio di Sicurezza ONU sulla situazione in Libia, il Procuratore della CPI ha riferito che, secondo una valutazione iniziale, i crimini commessi contro le persone migranti in Libia potrebbero costituire crimini contro l’umanità e crimini di guerra e rientrare nella giurisdizione della CPI. Secondo il Procuratore, questa linea di indagine è anche il risultato della presentazione di due Comunicazioni ai sensi dell’art. 15 che hanno fornito informazioni e materiali credibili e affidabili sulla commissione di tali crimini – il riferimento è alla Comunicazione avanzata da parte di StraLi, UpRights e Adala for All; e alla Comunicazione presentata dalla Federazione internazionale dei diritti umani (FIDH), European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR) e Lawyers for Justice in Libya (LFJL), alcuni mesi prima, nel novembre 2021. Mai prima d’ora il Procuratore era stato così chiaro sulla natura di questi crimini o sull’intenzione del suo Ufficio di perseguire tale linea di indagine. Nel settembre 2022, l’Ufficio del Procuratore ha compiuto passo concreto aderendo formalmente al Joint Team con Italia, Paesi Bassi, Regno Unito, Europol e Spagna per indagare sui crimini contro le persone migranti e rifugiate in Libia. Nel novembre 2022, anche al fine di accelerare le indagini e la raccolta di materiale e di testimonianze da parte delle vittime, il Procuratore della CPI si è recato in Libia. Speriamo che tutto questo possa essere di buon auspicio per impedire che questi crimini così gravi e sistematici rimangano impuniti

StraLi continuerà a battersi affinché simili violazioni, estremamente gravi, possano cessare e non verificarsi più in futuro, e perché i loro responsabili siano puniti.

Per combattere questa battaglia con noi, puoi supportarci qui.

Per leggere l’intera Comunicazione, e/o il Comunicato Stampa, qui.



A cura di Serena Zanirato



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