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CPR E SICUREZZA

Aggiornamento: 29 apr

La parola sicurezza è tra le più ricorrenti nel dibattito politico. In particolare, la sicurezza è spesso associata alla presunta minaccia che sarebbe rappresentata dai migranti che entrano nel territorio italiano; per ovviare a questo problema, esistono una serie di strutture che sono volte ad identificare ed ospitare temporaneamente i migranti suddetti. Tra queste, le cui sigle sono mutevoli, si segnalano i CPR, ossia i Centri di Permanenza per i Rimpatri.


Come suggerisce il nome stesso, all’interno di queste strutture è ospitato lo straniero che giunge in Italia in maniera irregolare, privo dei requisiti per ottenere la protezione internazionale, in attesa di essere espulso e rimpatriato.

Orbene, lungi da garantire alcun tipo di sicurezza, questi Centri finiscono spesso per sortire l’effetto opposto.

Immaginate per un secondo di dover lasciare il paese in cui siete nati. Immaginate di doverlo fare non perché vi aspettano sei mesi di studio all’estero in compagnia di simpatici coetanei festaioli, o per intraprendere un avventuroso e divertente viaggio “zaino in spalla” con il vostro migliore amico. Siete obbligati ad abbandonare la vostra casa e la vostra famiglia perché è l’unico modo per sopravvivere. Siete quindi costretti a perdere tutto quello che possedete per guadagnarvi un posto vista mare su un mezzo di locomozione poco più veloce di una zattera a remi, e vi imbarcate, a vostro rischio e pericolo, con l’obiettivo di intraprendere una traversata, praticamente infinita, per raggiungere un luogo che reputate essere più sicuro di quello da cui provenite. Giunti a destinazione, terrorizzati e fisicamente stremati dal viaggio, trovate collocazione (come se foste dei pacchi postali) all’interno di centri di detenzione amministrativa, le cui condizioni di vivibilità sono inaccettabili per degli esseri umani, e in cui vi trovate completamente privati della vostra libertà personale, oltre che emarginati dall’intera società.


Dal momento che le peculiarità anatomo-funzionali dei cervelli di tutti gli esseri umani sono pressoché le stesse, vi spieghiamo cosa succederebbe al nostro cervello se dovessimo trovarci in una situazione simile a questa e, quindi, cosa succede al cervello di cittadini stranieri che, giunti sul suolo italiano, vengono trasferiti nei CPR.


I circuiti nervosi responsabili della neurocezione (un processo cerebrale che si occupa di valutare la sicurezza/insicurezza del contesto in cui ci troviamo) monitorano costantemente le circostanze ambientali: a seconda della presenza o dell’assenza di minacce, essi predispongono il nostro organismo a fronteggiare la situazione nel modo più adeguato, ossia quello in grado di garantirci le maggiori probabilità di sopravvivenza.


I meccanismi della neurocezione coinvolgono le porzioni cerebrali che per prime si sono sviluppate durante l’evoluzione della nostra specie, le quali hanno il compito di guidare il nostro comportamento affinché venga mantenuta e regolata l’omeostasi corporea. In altre parole, ci aiutano a mantenere intorno a un certo livello ideale il valore dei parametri fisiologici interni, come la temperatura corporea, la pressione arteriosa, .. Ad esempio, se l’ambiente in cui ci troviamo viene identificato dal nostro cervello come pericoloso, l’amigdala, che si occupa della valutazione degli stimoli emotigeni (in particolare di quelli connotati dall’emozione di paura), stimola l’attivazione del sistema nervoso simpatico.


Così, in pochi secondi, il nostro organismo entra in un particolare stato di attivazione, o arousal, che comporta la modificazione di parametri fisiologici come la frequenza cardiaca, la vasocostrizione, la motilità intestinale (ecco perché si dice ‘farsela addosso’), il ritmo respiratorio, etc.., permettendoci di reagire in modo rapido a stimoli che possiedono una valenza di pericolo, di minaccia o che, più in generale, ci fanno paura.


La stimolazione del sistema simpatico risulta quindi essere particolarmente utile da un punto di vista evoluzionistico (è ciò che ci permette di salvaguardare la nostra incolumità) ma, al contempo, inibisce il sistema parasimpatico che, in condizioni di attivazione ottimale, viene coinvolto in attività di ripristino delle energie e di promozione della socializzazione. Quando ci sentiamo vulnerabili, infatti, impegnarci in atti di social engagement risulterebbe poco funzionale in termini di sopravvivenza: possiamo permetterci di relazionarci serenamente e creare un senso di condivisione sociale solo quando siamo certi di essere al sicuro.


Date tali premesse, possiamo facilmente immaginare come la detenzione nei CPR non possa che attivare una forte propensione alla difesa, traducendosi, sul piano comportamentale, in atteggiamenti aggressivi ed ostili che non fanno che confermare la necessità di escludere dalla comunità individui socialmente pericolosi. Insomma è un circuito che si auto-alimenta. In tal senso, una buona integrazione sarebbe il primo passo per l’attivazione di comportamenti volti alla cooperazione.


Percepirsi su un piano di sostanziale somiglianza permette a tutti gli individui che interagiscano in tal modo di sentirsi parte integrante di un gruppo e di non avere paura. Rispettare e favorire le capacità innate dell’uomo di porsi in relazione con gli altri nei termini di una cooperazione tra pari è ciò che più può aiutare nel prevenire, e curare, psicopatologie oggi molto diffuse tra gli immigrati, tutte causate dall’elevato tasso di stress che accompagna le esperienze traumatiche derivanti dall’arrivo nel paese ospitante. Tra le più comuni possiamo citare il disturbo da stress post-traumatico, il quale può comportare la comparsa di sintomatologie psico-fisiche altamente invalidanti, o lo stress da transculturazione, che nasce quando l’integrazione in un paese diverso da quello originario risulta essere particolarmente difficile a causa delle innumerevoli diversità linguistiche, etniche e culturali.


La promozione dell’integrazione sociale di individui provenienti da paesi diversi dal nostro può quindi favorire la prevenzione e la guarigione da gravi disturbi mentali, ed apportare notevoli benefici in termini di sicurezza sociale e di politiche economiche.

StraLi è consapevole di tutto ciò, ed è anche per questo che cerca di farsi garante della tutela dei diritti delle persone trattenute in tali strutture.


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