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Facebook v. Casapound e Forza Nuova

La chiusura delle pagine Facebook di Casapound e Forza Nuova riguarda due nodi giuridici rilevanti:

a. la tensione tra differenti interessi giuridici: libertà d’espressione, divieto di diffusione di idee discriminatorie o apologetiche del fascismo;

b. l’assenza di una normativa quadro che chiarisca se e in che modo un’azienda privata estera (quale è quella del Sig. Zuckerberg) possa risolvere la tensione tra tali interessi, limitando la libertà di espressione laddove in contrasto con altri interessi fondamentali.



Strali è ovviamente contraria a qualsiasi forma di autoritarismo e discriminazione, siano essi manifestati nelle forme di razzismo, islamofobia, antisemitismo, omofobia, ecc. Così lo è il nostro ordinamento (e la maggior parte degli ordinamenti del mondo), che pongono tali interessi a limitazione della libertà di espressione.


Questo tema è però estremamente complesso e delicato, per cui chiediamo a voi followers, amici, nemici e parenti di spendere altri tre minuti del vostro tempo per leggere (o rileggere) uno dei nostri contributi, scritto per la vicenda della casa editrice Altaforte allontanata dal Salone del Libro di Torino (https://www.strali.org/post/non-possiamo-tollerare-gli-intolleranti-o-si?fbclid=IwAR1kCkQVwq16kUoOjpQgBRRr_3Urhq922ZhonIAu9QJasjmTteiqU-kZbkw).


Altresì, vorremmo qui approfondire questo tema, che giuridicamente si articola su vari livelli.

In primis, vi è una questione di giurisdizione.


Sul contenuto di Facebook esistono sostanzialmente tre diversi livelli di giurisdizione. Il primo, quello primario, attiene ai termini del contratto che ogni utente “firma” con Facebook. Non dimentichiamoci: Facebook è una società privata che offre un servizio. Il servizio, peraltro, non è considerato di “pubblico interesse”, e non è regolato nel dettaglio da leggi dello Stato. Questa può essere una lacuna da colmare, data la sempre crescente rilevanza dei social media come mezzi di informazione e di comunicazione politica. Negli Stati Uniti, peraltro, la giurisprudenza sembra muoversi in tal senso (se volete approfondire: https://www.nytimes.com/2019/07/09/us/politics/trump-twitter-first-amendment.html).


In ogni caso, non è vero che questi termini non siano precisati, e che quindi Facebook si muova in maniera discrezionale nelle sue limitazioni alla libertà di espressione. Li abbiamo letti (vero?!?) e firmati al momento dell’apertura del nostro profilo. Chiunque voglia rinfrescarsi la memoria vada a farsi un giro qui: https://www.facebook.com/communitystandards/.


Come vedrete, i termini sono precisi, e (crediamo) oggettivamente condivisibili. Ma, a prescindere da questo, se qualcuno volesse creare una piattaforma dove si possano postare solo frasi rigorosamente in alfabeto farfallino ("cifiafaofo, cofomefe stafaifi?"), guarda un po’, potrebbe farlo. E ben potrebbe estromettere dal servizio chiunque non segua questi termini.

Il limite, al massimo, funziona al contrario. Non si potrebbe mai creare una piattaforma in cui si possono postare solo frasi di apologia dell’Olocausto, o che non permette l’iscrizione alle persone di colore. In tal caso, si starebbe violando una norma dello stato, e le clausole contrattuali della piattaforma sarebbero nulle.


Secondo livello di giurisdizione, quello nazionale. Qua la situazione si complica. A quali regole deve sottostare un fornitore di servizi su Internet? Sostanzialmente (e semplificando molto una questione di estrema complessità) il fornitore deve sottostare alle norme del Paese in cui ha la sede, e quelle del Paese in cui offre il servizio. Il rischio, tuttavia, è di doversi “appiattire” al sistema normativo che ha le regole più stringenti. Anche a livello di libertà di espressione.


Ultimo livello, quello internazionale. Esistono delle normative internazionali direttamente applicabili su multinazionali come Facebook? Non direttamente (nel senso che le imprese multinazionali mancano di “soggettività giuridica internazionale”), e sono in linea di massima destinatari del diritto internazionale solo per mezzo degli Stati. Senza alcun dubbio, non esistono vincoli internazionali a tali soggetti relativi alla libertà di espressione. Eppure, stante la potenziale diffusività mondialedel mezzo, si auspicherebbero delle regole condivise a livello internazionale.


La seconda questione attiene più strettamente alla libertà di espressione. Innanzitutto, essa non è assoluta. Insomma, non possiamo dire tutto quello che ci passa per la testa.


Quali sono i limiti? Ne esistono vari, che possiamo ritrovare principalmente nella normativa di carattere penale. Alcuni sono “universali” (si ritrovano praticamente in ogni ordinamento giuridico mondiale), altri sono strettamente correlati alla storia e alla cultura di un determinato sistema giuridico.


Innanzitutto, l’onore e la reputazione degli altri, che non possiamo offendere con le nostre espressioni (es. reato di diffamazione). Non possiamo diffondere idee che possano istigare la commissione di reati. Non possiamo diffondere idee discriminatorie (ad esempio su sesso, razza o religione). Non possiamo diffondere idee che possano istigare o giustificare la commissione di reati di particolare gravità (ad esempio terrorismo o genocidio). In ultimo, non possiamo diffondere idee che giustifichino o possano istigare all’instaurazione o la ricostituzione di regimi totalitari.


Non solo quest’ultima categoria è correlata al passato o presente storico/culturale di un paese. Ad esempio, alcune espressioni sarebbero considerate apologia di terrorismo in alcuni paesi, ed espressioni politicamente accettabili in altri.

In tali casi, però, visto che il contenuto è visibile in vari Stati, in teoria ognuno di essi può richiederne la rimozione a Facebook. Sostanzialmente, è un po’ come se ogni Stato avesse giurisdizione universale sulla piattaforma (anche se in realtà la giurisdizione si basa sulla visibilità del contenuto sul suo territorio). Se vi interessa, uno dei primi casi di questo tipo è stato Ligue contre le racisme et l'antisémitisme et Union des étudiants juifs de France c. Yahoo! Inc. et Société Yahoo! France.


Ora, ricapitolando: ogni espressione su Facebook deve in primis seguire le regole della piattaforma (che nel caso specifico riprendono i limiti di cui abbiamo parlato poc’anzi: ad esempio, niente contenuti che diffondano odio razziale), e quindi eventualmente le regole degli Stati dove tali espressioni sono visibili.


Rimane tuttavia aperta la questione fondamentale: Casapound e Forza Nuova hanno violato tali limiti? Diffondono odio razziale o religioso? Giustificano o auspicano l’instaurazione di regimi totalitari, basati su principi discriminatori?


Non ci rimane che chiedervi di valutare da voi, utilizzando come metro di giudizio i termini del servizio di Facebook, ricordandovi che ad oggi ogni violazione di tali termini porta alla possibilità di venire esclusi dal servizio.


Vi ricordiamo, altresì, che la giurisdizione interna di Facebook non esclude quella nazionale. A prescindere dalla decisione della Società di ammetterle o no, qualora determinate espressioni si pongano in contrasto con le norme di uno Stato dove esse sono visibili possono diventare oggetto di un procedimento giudiziale.

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