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Il fallimento di uno stato (o quando una persona privata della libertà si toglie la vita)

Aggiornamento: 29 apr

Da tempo Strali lotta per far in modo che i diritti delle persone trattenute nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio siano (almeno) gli stessi di quelli riconosciuti ai soggetti sottoposti ad una “vera” detenzione. Ed è con grande sconforto che accogliamo la notizia del suicidio avvenuto la notte scorsa nel CPR di Corso Brunelleschi (Torino).


A togliersi la vita è stato Musa Balde, il ragazzo di 23 anni che due settimane fa circa era stato vittima di una violenta (diventata poi mediatica) aggressione a Ventimiglia ad opera di tre persone. In seguito ad identificazione svolta dalle forze di polizia, veniva accertato che era stato soggetto ad un provvedimento di espulsione nel mese di Marzo e per questo motivo veniva portato nel CPR torinese.

La situazione di vulnerabilità psicologica di Musa, tuttavia, era nota ed infatti si trovava in osservazione in isolamento sanitario (la c.d. area Ospedaletto). D’altronde chi non sarebbe vulnerabile due settimane dopo aver subito un pestaggio con calci e pugni da tre persone mentre si è riversi al suolo?


A ciò si aggiunge la situazione di degrado che caratterizza il CPR di Torino. Lo stesso Garante nazionale delle persone private della libertà personale, nel suo rapporto sui CPR pubblicato poco più di un mese fa, constatava la mancanza di acqua calda, di porte o tende per garantire la riservatezza all’interno dei servizi igienici e nelle docce, di aree adeguate per svolgere attività sportiva, la quasi impossibilità per i soggetti “detenuti” di rivolgersi agli operatori (questi infatti rimangono all’estero dei settori detentivi e si avvicinano alle cancellate solo in alcuni momenti della giornata)…


Come fare, quindi, a rivolgere un grido di aiuto quando si è totalmente isolati?


E non fraintendeteci, non si tratta di pura retorica: i migranti trattenuti hanno diritto al rispetto della loro dignità umana. E tale diritto è malleabile ed assume varie forme: dal poter trascorrere alcune ore all’aria aperta, con la possibilità di vedere il cielo, al ricevere cure sanitarie adeguate.


L’aspetto forse più grave, sul quale ci siamo già battuti come associazione, è appunto la totale inadeguatezza dell’assistenza sanitaria fornita all’interno del CPR di Torino. Sempre secondo quanto affermato dal Garante nel suo rapporto annuale, infatti, in questa struttura c’è un’alta concentrazione di persone affette da disagio psichico che viene isolata dal resto della popolazione detenuta senza che a ciò consegua una vera e propria presa in carico dal punto di vista sanitario.


Già nel luglio 2019, nella stessa area sanitaria Ospedaletto, si era tolto la vita un altro “ospite” del CPR. Eppure tali locali dovrebbero essere sottoposti ad una “continua sorveglianza medica”: peccato che l’area stessa di isolamento sanitario sia fisicamente dislocata dal presidio medico del centro. Ed i fatti di Torino si inseriscono in un triste trend nazionale: negli ultimi due anni sono morte cinque persone nei CPR del territorio italiano.


E ciò deve valere sia che le persone siano detenute per aver commesso un reato, che nel caso di privazioni della libertà “senza reato” come quella dei CPR.


Need we say less?


A cura di Alice Giannini

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