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L'INTERESSE ECONOMICO PREVALE SULLA TUTELA DELL'AMBIENTE

Aggiornamento: 29 apr

La Regione Piemonte, con Determinazione Dirigenziale del Settore Regionale Foreste del 6.05.2020, ha prorogato il periodo di tempo concesso per i tagli nelle faggete di 15 giorni.


La disciplina trova regolamentazione nella legge regionale n. 4 del 10 febbraio 2009, denominata “Gestione e promozione economica delle foreste"; in particolare l'articolo 13, comma 1 lettera a), prevede che il Regolamento forestale definisca gli interventi selvicolturali e stabilisca le norme per la loro esecuzione secondo i principi della selvicoltura naturalistica.


In attuazione di questa disposizione, l’art. 18 del Regolamento forestale emanato con D.P.G.R. del 20 settembre 2011 n. 8/R (modificato con D.P.G.R. n. 2/R del 2013 e con D.P.G.R. n. 4/R del 2015) consente il taglio nei boschi cedui per i seguenti periodi: dal 1° ottobre al 15 aprile per quote fino a 600 metri s.l.m.; dal 15 settembre al 30 aprile per quote fra gli 600 ed i 1.000 metri s.l.m.; dal 1° settembre al 31 maggio per quote superiori ai 1.000 metri s.l.m. Lo stesso articolo consente alla competente struttura regionale di anticipare le date di apertura e posticipare le date di chiusura dei tagli fino a un massimo di quindici giorni, eventualmente solo per determinate categorie forestali o aree geografiche.


Ciò è precisamente quanto la Regione, su esplicita richiesta dell’Ente Parco Alpi Marittime, pervenuta in data 29 aprile 2020, ha inteso fare. Il periodo di taglio è prorogato, unicamente per la categoria forestale delle Faggete, fino al 15 maggio per quote fra gli 600 ed i 1.000 metri s.l.m. e fino al 15 giugno per quote superiori ai 1.000 metri s.l.m.  Una proroga di questo tipo era stata consentita già in data 14 aprile per i castagneti e i robinieti.


Le ragioni di questo provvedimento sono principalmente quelle di consentire alle ditte forestali di terminare eventuali interventi sospesi per effetto delle disposizioni nazionali finalizzate al contenimento dell’emergenza Coronavirus. In particolare, il provvedimento in oggetto riporta che il DPCM 26 aprile 2020 ha confermato tra le attività produttive consentite quelle selvicolturali (recanti codice Ateco 02), precisando che “i tagli boschivi possono proseguire solo se la Regione o Provincia autonoma competente ha prorogato con proprio atto i termini per la stagione di taglio”.


Tuttavia, alle attività selvicolturali è stata concessa la ripresa già con DPCM 10 aprile 2020; non si comprende dunque per quale motivo il testo del provvedimento riporti un dato differente, a meno che non sia per mistificare deliberatamente il dato di realtà. Pertanto, se è pur vero che le attività selvicolturali sono state interrotte per il periodo che va dal 22 marzo (ex art. 1 DPCM 22 marzo 2020) al 10 aprile 2020, bisogna considerare che il periodo di taglio previsto dalla legge parte dai primi di ottobre per le quote più basse e dai primi di settembre per gli alberi in quote più alte. Pertanto, in un periodo di circa 6 mesi (per gli alberi che si trovano in quote più basse) e di 7/8 mesi per i restanti una sospensione di circa 20 giorni, giustificata peraltro dall’insorgere di una pandemia, che ha comportato e comporterà sospensioni ben più lunghe in moltissime altre attività, non dipinge una situazione tale da giustificare detto provvedimento. 


Questa considerazione assume ancora più importanza alla luce delle seguenti affermazioni.

In primo luogo, la zona interessata dalla proroga, come già detto, è una faggeta governata a ceduo. Questo significa che l’albero si rinnova grazie alla sua capacità di “rilasciare” gemme dormienti al momento del taglio (questa caratteristica è detta “facoltà pollonifera”); tuttavia, se il taglio avviene nel periodo in cui l’albero rilascia nuove gemme, la capacità del faggio di rigenerarsi è grandemente limitata. Ed infatti, il taglio è consentito nei periodi sopra specificati proprio per preservare l’albero nella sua fase vegetativa e non intaccare le sue capacità rigenerative. Per questo motivo, una proroga in questo periodo è da considerarsi enormemente dannosa per la faggeta, in quanto riduce enormemente le capacità rigenerative del bosco.


I rappresentanti delle associazioni ambientaliste presso il Comitato Tecnico Foreste Legno hanno sottolineato che la riduzione della facoltà pollonifera può comportare la perdita o la forte riduzione del ruolo protettivo e produttivo del bosco riducendo o nel peggiore dei casi annullando buona parte dei servizi ecosistemici svolti da esso, nonché il valore intrinseco del bene vero e proprio, configurando così un danno ai proprietari che si vedono riconosciuto il solo valore del soprassuolo asportato. 


In secondo luogo, si consideri che la faggeta in questione si trova in una zona protetta ai sensi della direttiva Habitat 92/43/CEE (Conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche). Questa direttiva si fonda su due pilastri: la rete ecologica Natura 2000, costituita da siti mirati alla conservazione di habitat e specie elencati nell’allegato I e II della Direttiva stessa e il regime di tutela delle specie elencate negli allegati IV e V. Pertanto, l’area in cui il taglio si effettuerebbe - almeno in parte, essendo il provvedimento di portata regionale - è di fondamentale importanza comunitaria oltre che nazionale. 


A riprova di ciò, l’art. 5 del Regolamento che recepisce la Direttiva all’interno dell’ordinamenti italiano (DPR 357/97) impone l’obbligo per i proponenti di piani territoriali, urbanistici e di settore, ivi compresi quelli agricoli e venatori, di presentare una relazione documentata per valutare ed indicare i principali effetti che detto piano può avere sul sito di importanza comunitaria (la cosiddetta valutazione di incidenza).


Fermo restando che il provvedimento di cui si discute non è da considerarsi rientrante nell’elenco dei piani sopra riportato, è importante sottolineare che la ratio di questo articolo è quella di limitare e tenere sotto controllo ogni intervento che possa danneggiare il territorio protetto.


Alla luce di ciò, è inevitabile notare che un provvedimento che rischia seriamente di danneggiare irreparabilmente detto territorio protetto deve essere sottoposto ad un bilanciamento di interessi in cui la tutela dell’ambiente abbia un peso decisamente maggiore rispetto a quello conferito agli interessi economici aziendali. 

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