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L’Ucraina e gli scavi nel fiume di Chernobyl

Secondo gli esperti, in caso di esito positivo oltre un milione di abitanti sarà esposto al rischio di radiazioni.

Di cosa si tratta nello specifico?


Per la costruzione di un nuovo canale artificiale, è iniziato il drenaggio del fiume Pripyat, nei pressi del reattore 4 di Chernobyl, costruito appositamente per limitare la contaminazione radioattiva dell'ambiente dopo il disastro del 1986.

Nonostante le forti raccomandazioni degli esperti, i quali continuano a ribadire che un intervento e dei lavori troppo vicini al reattore 4 potrebbero causare pericoli irreparabili e inaccettabili, le opere di scavo, a pochi chilometri dal luogo dove è accaduto l’incidente nucleare peggiore della storia, continuano senza sosta.


Il fiume Pripyat è lungo circa 700 km, attraversa l’Ucraina e la Bielorussia e scorre anche lungo la “zona di esclusione”, ovvero l’area attorno a Chernobyl che è stata interdetta definitivamente agli esseri umani. Tale zona (nello specifico si tratta di 30 km di diametro), infatti, a causa dell’incidente nucleare del 1986, sarà territorio contaminato per almeno 24.000 anni.

Anche una cittadina limitrofa si chiamava Pripyat. Nel 1986, fu immediatamente evacuata e attualmente, con i suoi edifici abbandonati, è diventata una destinazione turistica.


Nell’estate 2020, l’azienda ucraina Sobi, che si è aggiudicata l’appalto, ha ufficialmente avviato il dragaggio di oltre 100.000 m2 di sedimenti del fiume Pripyat.

Si tratta di un progetto infrastrutturale mastodontico e molto complesso che ha il fine di costruire una nuova via d’acqua (con il nome di E40), la quale collegherà il Mar Baltico con il Mar Nero, percorrendo la Polonia, la Bielorussia e l’Ucraina.


Secondo gli studi e le ricerche apportate da “Save Polesia”, coalizione ambientalista internazionale, alcuni scavi e opere di dragaggio distano meno di 10 km dal reattore 4.

Se così fosse, tale situazione andrebbe in netto conflitto rispetto alle raccomandazioni rilasciate dall’Iaea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) secondo cui l’“area di esclusione” deve categoricamente essere lasciata intoccata.


È intervenuta anche ACRO, organizzazione francese, che, con uno studio scientifico indipendente, ha dimostrato come tali lavori di drenaggio possano mettere a rischio di radiazione oltre ventotto milioni di persone.

Inoltre, per rendere il canale E40 operativo, saranno necessari continui scavi che non faranno altro che diffondere maggiormente le sostanze radioattive, contaminando l’approvvigionamento idrico di 8 milioni di persone e le derrate alimentari da cui dipendono venti milioni di cittadini ucraini.


Senza dubbio, l’Ucraina necessita di collegamenti migliori con i Paesi con cui confina e con l’Europa, ma il canale E40 non sembrerebbe l’opzione migliore da preferire.

Oltre ai vari rischi di contaminazione, infatti, tutti questi lavori avrebbero un impatto diretto anche su ben 38 aree naturali protette e con l’estrazione prevista di sei milioni di m2 di sedimenti si modificherebbe per sempre il suo ecosistema.


Noi di StraLi ci auguriamo che questo ennesimo episodio ai danni della Terra possa farci riflettere su quanto siano necessari interventi responsabili e attività di informazione e sensibilizzazione al fine di rafforzare i mezzi di attuazione e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile.


A cura di Alice Pezzana

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