La casa editrice Altaforte non parteciperà al Salone Internazionale del Libro di Torino. C’è chi gioisce, c’è chi grida allo scandalo, c’è chi rimane indifferente. E poi ci siamo noi, che proviamo a ragionarci un po’ sopra, propinandovi le nostre modeste riflessioni.
Three, two one, fight!
Step 1. L’apologia di fascismo.
Prendiamola alla larga e partiamo dal 20 giugno 1952, giorno di entrata in vigore della conosciutissima – almeno nel nome – legge Scelba. Mentre ancora gli italiani si leccavano le ferite lasciate da quel lugubre ventennio da poco concluso, il legislatore decideva di prendere provvedimenti per evitare che qualcuno, in futuro, potesse avere la balzana idea di ripetere un’esperienza del genere. Lungimiranti!
Con questa breve legge di soli dieci articoli vengono introdotti nell’ordinamento italiano tre nuovi reati: l’art. 1 vieta la ricostruzione del disciolto partito fascista, l’art. 5 castiga chi partecipa a manifestazioni o riunioni nazi-fasciste, mentre l’art. 4 – che è rubricato ‘apologia di fascismo’ ed è quello che qui più ci interessa – punisce sia chi fa propaganda per ricostruire il partito fascista, sia chi esalta pubblicamente esponenti, metodi, ideali o finalità di stampo fascista; pene più severe per chi manteca il tutto con idee e messaggi razzisti o fa uso del mezzo della stampa per propagandare il proprio illegale pensiero.
Tutto molto bello quanto astratto. Basti pensare che nel 1991 fu fondato un partito dal nome ‘Fascismo e Libertà’, che andò incontro a numerose denunce che si conclusero con archiviazioni o assoluzioni per insussistenza del fatto: quello che non si può fare, secondo la legge Scelba interpretata dai giudici, è la ricostruzione di quel partito fascista, proprio quello che impose la dittatura, quello che andò a gambe all’aria nel 1943.
L’apologia di fascismo, dal canto suo, se interpretata letteralmente ad oggi contribuirebbe in maniera decisiva al sovraffollamento carcerario: dai nostalgici ‘viva il duce’ ai rigidi saluti romani sino alle stonate strofe di faccetta nera; si salverebbero forse i ‘quando c’era lui’ insieme ai ‘l’unico errore fu l’alleanza con Hitler’, ma per il rotto della cuffia.
Intervenne tuttavia la Corte Costituzionale nel 1957 a chiarire che, in nome della sacrosanta libertà di manifestazione del pensiero, il reato di apologia di fascismo sia integrato solo laddove frasi, gesti, dichiarazioni possano dirsi propedeutiche “alla riorganizzazione del partito fascista”, così salvando la norma dalle accuse di incostituzionalità.
Quindi sì, si può fare il saluto romano all’amico con la testa rasata, si può invitare il suddetto amico per due spaghi aglio, olio e negazionismo, ci si può apertamente dichiarare fascisti senza rischiare nulla, se non il tendenziale ribrezzo degli astanti. Un po’ quello che capita con le flatulenze in ascensore.
Step 2. La pecora nera.
Tanto premesso, passiamo alla ormai arcinota casa editrice Altaforte, da qualche giorno presente sulle prime pagine delle principali testate nostrane ma anche nel registro degli indagati della Procura di Torino per il detto reato di apologia di fascismo.
Altaforte, ormai è un ritornello, ‘è vicina a Casapound’: il titolare della casa editrice, tal Francesco Polacchi, è, in effetti, un militante di quel partito (oltre che fondatore del brand Pivert, a quanto pare molto in voga tra i suoi compagni di partito).
Tra i capolavori pubblicati da Altaforte – che si presenta come casa editrice che vuole dar voce a coloro che si pongono fuori dal pensiero omologato – ricordiamo “Diario di uno squadrista toscano” di Mario Piazzesi, “La dottrina del fascismo” di Benito Mussolini e Giovanni Gentile e un fumetto che ripercorre l’esperienza dello stesso Mussolini durante la prima guerra mondiale, quando maturò le fondamenta dell’ideologia fascista. L’ultimo masterpiece è il libro-intervista del Vicepremier Matteo Salvini, che avrebbe dovuto essere presentato proprio in questi giorni al Salone del Libro.
Step 3. L’art. 21 della Costituzione.
L’art. 21 della nostra Costituzione dice che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione […]”. In altre e meno auliche parole, in una democrazia si può pensare e dire ciò che si vuole anche se diverso, anche se antitetico, da quanto la maggioranza pensa.
Esistono dei limiti? Ebbene yes, il limite è quello della legalità.
Insultare e diffamare gli altri è illegale, non si può fare.
Spiattellare informazioni riservate perché personali è illegale, non si può fare
Divulgare notizie coperte da segreto professionale o di Stato è illegale, non si può fare.
Step 4. (Non) conclusioni.
Pubblicare libri che inneggiano al fascismo è illegale e non si può fare? La lettera dell’art. 4 della legge Scelba sembra piuttosto chiara nella parte in cui punisce chiunque “esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche”. Ma la sua applicazione concreta è stata, negli anni, molto molto più morbida, come abbiamo visto.
Che ciò sia avvenuto per ossequio alla Costituzione e alla libertà di pensiero o che sia stato per una percezione del fascismo come un ricordo lontano e difficile a ripetersi, non è dato sapere.
Credeteci, ci siamo scervellati full time in questi ultimi giorni, senza riuscire a imboccare a passo sicuro il paradosso di Popper – per cui, riassumendo male e con il rischio di ingarbugliarsi la lingua, una società tollerante, per mantenersi tale, non può tollerare il pensiero intollerante – ed allo stesso tempo guardando con un certo sospetto il liberal thinking ed il “vivi e lascia vivere se davvero vuoi definirti democratico”.
Non abbiamo, purtroppo, conclusioni. Non ne abbiamo di giuridiche quantomeno. E vi vediamo mentre ci maledite mentalmente per avervi fatto perdere questi tre minuti, ma l’abbiamo fatto in completa buonafede, nella speranza che il dibattito resti vivo anche quando l’effetto Salone sarà finito.
Commenti