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PIÙ TENSIONI, PIÙ ARMI

L’equazione “più tensioni-più armi” è una costante nel nostro ordinamento, se non addirittura globale. La connessione tra l’ambito delle armi e quello dell’ordine pubblico e della sicurezza si riflette implicitamente nel nostro stesso quadro costituzionale, che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in queste due materie (art. 117, comma 2, lett. d) e lett. h) della Costituzione). Invero, è la legislazione statale a stabilire cosa debba intendersi per “armi” ed i limiti entro i quali se ne possa ammettere l’uso, e allo stesso tempo a disciplinare i casi e i modi di utilizzo di queste da parte delle forze di polizia, anche locale, per garantire l’ordine pubblico e la sicurezza (a titolo esemplificativo, la legge n. 65/1986 disciplina l’ordinamento della polizia municipale e l’armamento di questa).





Se si prende ad esempio la nostra recente storia legislativa, si può notare che le normative concernenti l’introduzione dell’utilizzo di nuove armi sono state adottate per ragioni di contrasto a fenomeni di illegalità e violenza in occasione di manifestazioni sportive, di riconoscimento della protezione internazionale e in generale per ragioni di sicurezza pubblica. In particolare, ambiti quali i disordini durante le manifestazioni sportive o la richiesta di protezione internazionale hanno portato all’adozione del decreto-legge n. 119/2014, convertito con la legge n. 146/2014, il quale ha previsto l’avvio della sperimentazione della pistola elettrica cosiddetta TASER. Questa parola è l’acronimo di “Thomas A. Swift’s Electric Rifle”, che si riferisce al libro per bambini Tom Swift and His Electric Rifle di Victor Aplleton, pubblicato nel 1911. Oggi il TASER rientra normativamente nella categoria di “arma comune ad impulsi elettrici” (a seguito del d.l. n. 113/2018). Si tratta, infatti, di una pistola elettrica che emette brevi scariche ad alta tensione e bassa intensità al fine di immobilizzare e quindi neutralizzare il soggetto che le riceve, provocando una momentanea paralisi dei muscoli ed evitando quindi il contatto fisico diretto. Sono nuovamente ragioni in materia di immigrazione, sicurezza pubblica, “funzionalità del Ministero dell’Interno” e criminalità organizzata a fare sì che venga adottato il decreto-legge del 4 ottobre 2018 n. 113, convertito, con modificazioni, in legge n. 132 del 1º dicembre 2018. L’art. 19 di tale normativa ha previsto la proroga della sperimentazione dei dispositivi ad impulso elettrico, da avviare presso la polizia locale. La possibilità di utilizzarli sarebbe determinata sulla base di condizioni predefinite, anche in accordo con le aziende sanitarie locali, ed all’esito di una procedura che vede coinvolta la Conferenza unificata, ovverosia la Conferenza Stato-città ed autonomie locali e la Conferenza Stato-Regioni, e l’adozione di un decreto ministeriale. Lo strumento è stato dato in dotazione in via prodromica e sperimentale alle forze di polizia di alcune città italiane. È importante sottolineare che, pur avendo qualificato questi dispositivi come “armi” (d.l. n. 119/2014, d.l n. 113/2018 e l. n. 110/1975), A livello legislativo, tuttavia, non sono ancora stati inclusi, in modo definitivo, nella dotazione di armamento delle forze di polizia, salvo prevedere tali percorsi di sperimentazione. La sperimentazione adottata con i decreti sopracitati rimane, quindi, ad oggi, una sperimentazione. La Suprema Corte, con sentenza n. 126 del 24 maggio 2022, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 5 della legge della Regione Lombardia n. 8/2021 limitatamente alle parole “dissuasori di stordimento a contatto”. Invero, la normativa regionale aveva previsto la possibilità per la polizia locale di dotarsi di dispositivi ad impulso elettrico a contatto, ampliando il catalogo degli strumenti in dotazione ai corpi in servizio. La Regione, stabilendo che le forze di polizia locale possono dotarsi di tali dispositivi, ha violato la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di armi (art. 117, comma 2, lett. d), Cost.).


Dissuasori di stordimento a contatto, arme ad impulso elettrico, storditori elettrici, stungun, TASER, sono tutti nomi con cui si indicano questi strumenti, operanti vuoi toccando fisicamente il corpo dell’offeso vuoi mediante il lancio di piccoli dardi che a contatto con la persona scaricano energia elettrica. La Corte costituzionale italiana ha più volte affermato che i dispositivi in questione sono idonei a recare un danno alla persona (Corte di cassazione penale, sent. n. 4627/2021; Corte di cassazione penale, sent. n. 49325/2016). I potenziali rischi per il soggetto che riceve le scariche elettriche possono riguardare un’imminente caduta a causa dell’immobilizzazione, le condizioni psico-fisiche particolari dell’individuo colpito (delle quali l’operatore può non essere a conoscenza al momento dell’azione), come anche l’errore di mira, con conseguenti lesioni in parti sensibili del corpo. Si tratta di strumenti sicuramente in grado di offendere l’incolumità delle persone. L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha definito il TASER uno strumento di tortura. Infatti, in alcuni Stati quest’arma è ampiamente utilizzata e non sempre in maniera legale.


Nonostante ciò, è evidente la necessità, in presenza di tensioni, di rispondere alle esigenze di ordine pubblico tramite l’utilizzo di simili equipaggiamenti. Ci si chiede se sia questa la risposta giusta e più efficace. L’Agenzia europea dei diritti fondamentali, ad integrazione delle formazioni di altre agenzie europee del settore, ha elaborato un manuale di formazione del personale di polizia basata sui diritti fondamentali, che possa aiutare le forze dell’ordine a rispettarli e proteggerli concretamente, garantendo l’uso della forza esercitato in conformità dei principi di legalità, necessità e proporzionalità ai fini di tutelare diritti quali la non discriminazione, la dignità e la vita. È questa la principale sfida delle attività di polizia: quella di proteggere i diritti umani con i mezzi meno intrusivi. Spesso, tuttavia, le forze dell’ordine percepiscono i diritti umani come un ostacolo alle proprie attività di lavoro, dando origine ad una dicotomia tra sicurezza, da un lato, e diritti umani, dall’altro. Un corpo di polizia che opera con professionalità orientando le proprie attività ai diritti fondamentali, invece, è un’importante fonte di legittimità. Se la maggior parte degli strumenti utilizzati ha come obiettivo quello di recare un danno alla persona, tale fiducia viene inevitabilmente meno. Sono senza dubbio comprensibili il disagio ed i problemi che si affrontano “in strada”, ma bisognerebbe valorizzare l’idea che la polizia è piuttosto un’istituzione deputata all’erogazione di servizi alla cittadinanza e non un solo un corpo armato orientato al controllo. A cura di Nicole Valentina Zemoz

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