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QUAL È LO STATO DEL DIRITTO ALL'ABORTO NEL MONDO?

È di pochi giorni fa la notizia che il congresso del Guatemala ha approvato la “Legge per la protezione della vita e della famiglia”, o Legge 5272: al centro del provvedimento, oltre a una serie di disposizioni conservatrici come il divieto di matrimonio fra persone dello stesso sesso, c'è anche l'inasprimento delle pene per chi ricorre all'Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG).



In Guatemala era già prevista la reclusione fino a tre anni per chi ricorreva o promuoveva e facilitava l'accesso all'IVG, ma ora le ragazze, donne o persone che cerchino di sottoporsi all'interruzione rischiano fino a dieci anni di carcere; il personale sanitario che esegua o aiuti ad ottenere un intervento rischia pene ancora più alte.


La legge si pone in controtendenza rispetto a molti Paesi dell'America Latina, ma si colloca anche in un panorama globale che, rispetto al diritto all'autodeterminazione di donne e persone che scelgono di o devono ricorrere all'IVG, è sempre più polarizzato. Negli ultimi anni infatti abbiamo assistito o a una progressiva depenalizzazione dell'aborto e a un ampliamento dell'accesso al diritto, oppure a un rifiuto secco e a una risposta aggressiva da parte di governi e istituzioni.


L'America Latina ha in realtà da qualche anno intrapreso molteplici percorsi di depenalizzazione e facilitazione dell'accesso all'IVG. È di pochi giorni antecedente alla decisione del congresso guatemalteco la decisione della Corte Costituzionale della Colombia di depenalizzare parzialmente l'aborto: con una sentenza è stato reso possibile l'accesso all'IVG entro le prime 24 settimane di gravidanza, dopo che diverse associazioni attive nel campo del diritto all'autodeterminazione avevano chiesto alla Corte di esprimersi sulle leggi molto restrittive dapprima vigenti. La svolta in Colombia era stata preceduta da una simile legalizzazione avvenuta in Argentina nel 2020 e in Messico nel 2021. Sempre all'inizio di quest'anno, il Parlamento dell'Ecuador ha depenalizzato il ricorso all'aborto entro le prime 12 settimane in caso di stupro, una misura pur sempre ristretta che però per i gruppi femministi attivi nel Paese è un punto di partenza.


Tuttavia, sono molti i Paesi vicini in cui ricorrere all'IVG è vietato, fra essi Honduras ed El Salvador. Proprio in quest’ultimo Paese, ha fatto scalpore il caso di una donna rilasciata dopo aver scontato dieci anni di detenzione per aver avuto un aborto – secondo le autorità, risultato di un’interruzione di gravidanza praticata illegalmente – come riportato anche da Human Rights Watch.


Nel Nord America e, negli Stati Uniti d'America in particolare, si vive una simile contrapposizione fra provvedimenti estremamente conservatori e una liberalizzazione in favore del diritto all'autodeterminazione. Vi avevamo già parlato, in questo articolo, del caso del Texas e del cosiddetto “heartbeat bill”, la legge del battito cardiaco che vieta al personale medico d'interrompere una gravidanza qualora riscontri attività cardiaca da parte dell'embrione. Nonostante la sospensione della legge da parte di un giudice federale, era stata poi reintrodotta in via temporanea da una corte d’appello.

L’ultima decisione è arrivata anch’essa nei primi giorni di questo marzo 2022: la Corte Suprema dello Stato del Texas ha rigettato l’ultimo ricorso fatto contro una legge che sembra essere stata progettata per sfuggire al giudizio di una corte federale, secondo quanto riportato da The New York Times. La legge del battito cardiaco prevede infatti che la responsabilità dell’enforcement delle disposizioni non ricada sull’autorità statale, quanto sulla cittadinanza – che può citare in giudizio chiunque ne commetta una violazione. Un modello che rischia pericolosamente di essere replicato in altri Stati della federazione.


Il Texas non è l’unico che ha preso una drastica posizione restrittiva sull’IVG. Anche la Florida ha recentemente votato per il divieto al ricorso all’interruzione di gravidanza dopo le prime 15 settimane nella maggior parte dei casi, fatto salvo il caso di grave pericolo per la salute della persona in gestazione o grave malformazione del feto – esclusi quindi i casi di stupro o incesto. Il disegno di legge deve ora passare il vaglio del Senato della Florida, ma s’inserisce in una serie di provvedimenti dello Stato che non hanno colpito solo i diritti riproduttivi e l’autodeterminazione, ma i diritti delle minoranze in generale.


In questo contesto, è lo Stato della California a porsi come capofila degli Stati che invece si battono per un’IVG sicura e accessibile a chiunque: fra i provvedimenti di cui si discute, un supporto economico per coprire costi di viaggio e spese di persone che, da altri Stati, vogliano recarsi in California per l’interruzione. Tuttavia, questo esempio si colloca in uno scenario che, a livello federale, rischia di farsi sempre più critico anche e soprattutto per la posizione della Corte Suprema degli Stati Uniti, ad oggi a maggioranza conservatrice. Interrogata sulla legittimità della legge sul diritto all’aborto dello Stato del Mississipi – anch’essa estremamente restrittiva, l’accesso all’IVG è vietato dopo le 15 settimane di gestazione salvo poche eccezioni – e su altre disposizioni in materia di diversi Stati, la Corte sembra ormai aver intrapreso un percorso a sostegno delle posizioni più conservatrici. Quel che si teme è il ribaltamento della storica sentenza “Roe vs Wade”, la vera fonte di garanzia del diritto all’aborto nel sistema giuridico statunitense.


In Europa, lo scenario sembra altrettanto polarizzato: vi abbiamo parlato, in passato, della lotta delle istituzioni e del governo polacco contro il diritto all’aborto e del movimento d’opposizione alle norme introdotte, “StajkKobiet”, Lo Sciopero delle Donne – in questo post. Il movimento è tornato a protestare in piazza di recente, dopo che una donna in stato di gravidanza è deceduta in ospedale: nonostante evidenti complicazioni, il personale sanitario si era rifiutato di effettuare l’interruzione.


Quanto all’Italia, nonostante il diritto all’IVG sia previsto dal 1978 con l’entrata in vigore della nota legge 194/78, continuiamo a chiedersi quanto l’accesso a questo diritto sia effettivo. È possibile, infatti, ricorrere all’IVG entro i primi 90 giorni di gestazione o successivamente, se per motivi di natura terapeutica. Tuttavia, il riconoscimento di questa possibilità non rende semplice il percorso per accedere al diritto: l’istituto dell’obiezione di coscienza, previsto all’art. 9 della legge tranne che per casi in cui l’interruzione sia “indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo”, è solo il più grosso scoglio rispetto a questo esercizio. Alla scarsità e alla disparità territoriale del personale sanitario obiettore si aggiungono anche le carenze del sistema sanitario, i lunghissimi tempi di attesa e l’accertamento delle motivazioni valide per abortire previste all’art. 4 della legge. Esse infatti possono solo costituire “serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito” e ad accertarle è sempre il personale sanitario.


Una piccola vittoria è arrivata quando, a inizio anno, il governo della Germania ha accolto le rivendicazioni dei movimenti femministi ed ha annunciato di voler depenalizzare l’informazione sull’accesso all’IVG, risalente a una legge di epoca nazista. Ma questo non è abbastanza.


Il tema vero è che, anche a fronte di questa carrellata di situazioni, il dibattito sul diritto non solo alla salute, ma all’autodeterminazione, non dovrebbe essere polarizzato. L’accesso a un’interruzione di gravidanza sicura e libera dovrebbe essere un diritto riconosciuto. Non dovremmo ritrovarci a gioire per notizie come quelle che arrivano da El Salvador o dalla Germania, positive se decontestualizzate, ma che risultano un premio di consolazione, rispetto allo stato dell’IVG nel mondo.


Restringere i casi in cui l’IVG è un servizio garantito o, addirittura, criminalizzare l’interruzione non interviene sulla necessità di donne, ragazze e persone di ricorrere ad essa. L’esigenza resta: ciò che invece scatta, in questi casi, sono forme di IVG illegali, di fatto meno sicure e con conseguenze che sono dannose o fatali. Conseguenze che possono essere evitate in una qualsiasi struttura ospedaliera attrezzata e formata a fornire il servizio – come dichiara anche Amnesty International.


L’accesso a un’interruzione volontaria di gravidanza sicura è un diritto: lo è alla luce del diritto alla vita e alla salute, a tutela della dignità di ogni persona che si trovi ad averne bisogno. È essenziale una battaglia globale contro provvedimenti discriminatori, che violino questi diritti e ledano la dignità umana.


A cura di Greta Temporin

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