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Riders Vs Foodora

Nel sistema italiano la tutela dei lavoratori deve confrontarsi quotidianamente con nuove esigenze sociali e col rapido sviluppo della tecnologia, che dà vita a nuove tipologie di rapporti di lavoro, spesso gestiti quasi integralmente tramite l’utilizzo di dispositivi elettronici ed app.

Un esempio emblematico di questo fenomeno è costituito dal rapporto di lavoro instaurato tra ormai numerose aziende che forniscono servizi di “Food Delivery” e i c.d. “riders”, ossia coloro che effettuano materialmente la consegna: come possono essere regolate tali nuove realtà e come possono essere trovate adeguate tutele per i “nuovi” lavoratori?

Per inquadrare la fattispecie, occorre innanzitutto analizzare come si svolge la prestazione lavorativa dei riders e a questo proposito abbiamo considerato il caso più rappresentativo, oggetto di contenzioso nei mesi passati: il caso Foodora.


Caratteristiche del rapporto di lavoro

I riders sottoscrivono con l’Azienda un contratto di collaborazione coordinata e continuativa e la gestione del rapporto di lavoro avviene attraverso una piattaforma digitale ed una app per smartphone. Il lavoratore è libero di candidarsi o non candidarsi per una specifica corsa e, nel caso in cui lo faccia, si impegna ad eseguire la consegna, tramite l’utilizzo di una propria bici, tassativamente entro 30 minuti (pena applicazione a suo carico di una penale di 15 euro). Il lavoratore deve provvedere ad inoltrare all’INPS la domanda di iscrizione alla gestione contributiva per gli autonomi e può recedere liberamente dal contratto con 30 giorni di preavviso.

A fronte della prestazione, Foodora corrisponde al lavoratore 5,60 euro lordi l’ora, provvede al versamento dei contributi previdenziali e assicurativi, ma non ha potere gerarchico né disciplinare.


Il caso

L’ evidente fluidità dell’inquadramento ha portato i riders a sollevare la questione in giudizio, chiedendo una riqualificazione del rapporto da parasubordinato a subordinato, con la conseguente richiesta di ricevere le somme loro spettanti a titolo di differenze retributive ed indennità risarcitorie. Tali domande erano state rigettate dal Giudice di primo grado, ritenendo che mancassero alcuni elementi determinanti per poter parlare di subordinazione: da un lato l’obbligatorietà e la continuità della prestazione da parte dei fattorini, dall’altro l’assenza di potere gerarchico/disciplinare da parte di Foodora.

Ripresentata la questione in secondo grado, la sentenza n. 29 del 4.2.2019 della Corte d’Appello di Torino ha accolto in maniera parziale le richieste sollevate dai riders a tutela dei propri diritti. In particolare, viene loro riconosciuto il V livello del CCNL logistica trasporto merci, pur non inquadrandoli come lavoratori subordinati, in quanto svolgevano una prestazione lavorativa al di sotto delle 20 ore settimanali e mancava il requisito dell’obbligatorietà della prestazione, circostanze definite poco compatibili con la natura subordinata del rapporto di lavoro.

Per la prima volta in assoluto, la Corte ha accordato maggiori tutele a questa nuova fattispecie di lavoro, applicando al caso concreto la previsione normativa dettata dall’art. 2 del d.lgs. 81/2015 (parte del cd. Jobs Act), che estende la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro personali, continuative, e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente, ma senza la costituzione della subordinazione.


Le criticità secondo StraLi

Ad avviso di StraLi, la decisione di primo grado ha dato rilevanza esclusivamente all’inquadramento parasubordinato dei contratti firmati dai riders, senza considerare se effettivamente vi fosse piena corrispondenza tra il nomen iuris (il titolo dato al contratto, una sorta di etichetta) e la realtà della prestazione svolta dai ricorrenti, né se i “Riders” fossero concretamente sottoposti al potere direttivo ed organizzativo del datore di lavoro.

D’altra parte, la sentenza della Corte d’Appello pare essere solo in parte soddisfacente: pur riconoscendo maggiori tutele e diritti a questa nuova categoria di lavoratori, ha negato in capo agli stessi la natura subordinata del rapporto di lavoro, nonostante l’accertata effettiva integrazione funzionale del lavoratore nell’organizzazione altrui e l’assenza di autonomia organizzativa, che invece dovrebbe essere elemento centrale della parasubordinazione.

In ultima analisi, la Corte non ha considerato l’obbligo del lavoratore di porre a disposizione del datore di lavoro le proprie energie e di impiegarle con continuità, fedeltà e diligenza, secondo le direttive e la turnistica impartite dal datore di lavoro per il perseguimento dei fini della società.


La natura “strategica”

Il caso è, secondo STRALI, un esempio di come i casi giuridici possano determinare il riconoscimento di nuovi diritti e garanzie che devono trovare spazio nel nostro ordinamento, in sintonia con l’evoluzione della nostra società. In assenza di un esplicito intervento legislativo, l’intervento dei tribunali può sopperire e colmare questa lacuna. Nel caso Foodora, la Corte sembra aver ricavato una forma di lavoro ibrida: pur non riconoscendo l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, ha considerato gli aspetti del tutto nuovi del rapporto in questione – le componenti tecnologiche e le modalità di prestazione del lavoro – valutandone la scarsa autonomia e quindi la necessità di riconoscere maggiori tutele in capo al lavoratore, proprio perché le concrete modalità di svolgimento della prestazione non permettono di inquadrarla nella categoria della parasubordinazione.


Il futuro

La rilevanza del caso Foodora non si limita ai diritti dei riders. La natura “strategica” della questione, di interesse per StraLi, permetterebbe di annoverare nella nuova fattispecie tutti quei profili di lavoratori che, non qualificati come subordinati, soffrono degli svantaggi propri del lavoro autonomo ma al contempo delle imposizioni del lavoro dipendente, il tutto senza godere delle tutele adatte al tipo di prestazione.

Parliamo, a titolo esemplificativo, dei lavori a partita iva presso gli studi professionali e delle prestazioni occasionali con compenso a ritenuta d’acconto: in tali casi, lo scarso potere contrattuale del lavoratore – dovuto alle contingenze del mercato del lavoro – non trova protezione nel tessuto normativo, lacunoso e inadatto, e si auspica che possano essere considerati profili meritevoli di attenzione, alla stregua dei fattorini di Foodora, che hanno già in parte vinto la loro battaglia.

Ci auguriamo che la sentenza commentata possa segnare l’inizio di una nuova era, ove i tribunali siano sempre più orientati a valutare con estrema attenzione lo svolgimento del rapporto di lavoro, al di là di quanto scritto sulla carta, in modo da poter garantire ai lavoratori i dovuti diritti e tutele.

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