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SENTENZA STORICA: LA GERMANIA CONDANNA UN MEMBRO ISIS PER GENOCIDIO CONTRO GLI YAZIDI

Aggiornamento: 29 apr


Un membro del gruppo dello Stato Islamico (ISIS) è stato dichiarato colpevole di genocidio contro la minoranza religiosa degli yazidi in una sentenza storica dell’Alta Corte Regionale di Francoforte (Germania). È così che titolano le maggiori testate giornalistiche che si occupano di gravi violazioni di diritti umani.


Lo scorso 30 novembre, l’Alta Corte Regionale di Francoforte ha condannato all’ergastolo Taha al-Jumailly, 29 anni, iracheno e jihadista, per aver commesso il crimine internazionale di genocidio nei confronti della minoranza degli yazidi, oltre a crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Lo Stato Islamico, nella figura di al- Jumailly, è responsabile di aver assoggetato a schiavitù una bambina di 5 anni e sua madre a partire dal 2014 in Siria, essendo poi le due state vendute “svariate volte dal gruppo [ISIS]”, come riportato da più fonti. Taha al-Jumailly è stato condannato, specificatamente, per aver portato le due in Iraq, averle assoggettate a tortura e altri trattamenti inumani e degradanti e aver fatto morire disidrata la bambina nell’estate 2015 – avendola legata ad una finestra, come punizione, in una giornata in cui le temperature hanno raggiunto i 50 gradi.

Chi sono gli yazidi?

Gli yazidi rappresentano una minoranza religiosa, di lingua curda, per lo più concentrata tra Iraq e Siria (con ampie comunità anche in Germania, Svezia, Russia, Armenia e Georgia a causa dell’esodo migratorio dovuto alla persecuzione), che professa una religione monoteista le cui dottrine sono caratterizzate da esoterismo.

A partire dall’estate del 2014, l’ISIS ha lanciato un’offensiva contro la regione irachena dello Schingal, compiendo massacri di larga scala contro la popolazione civile, inclusi uccisioni di massa, tortura e riduzione in schiavitù. Secondo quanto riporta Amnesty International, più di 5.000 persone sono state uccise e più di 400.000 sono state sfollate dalle loro case. Ad oggi, oltre 2.800 donne e bambini yazidi sono ancora prigionieri dell’ISIS o risultano dispersi. Oltre all’attacco fisico e diretto contro tale minoranza, l’ISIS ha iniziato anche una vera e propria campagna d’odio, definendoli “infedeli” o “adoratori del demonio”.

Cosa significa questa sentenza e perchè è importante.

Secondo il diritto internazionale uno Stato ha giurisdizione penale, con possibilità quindi di iniziare un procedimento, nel caso in cui il reato sia stato perpetrato sul suo territorio ovvero la vittima o l’autore del reato è cittadino dello Stato in questione. Nonostante ciò, nel caso di crimini particolarmente seri, come lo sono i crimini internazionali, gli Stati possono decidere di applicare il principio di giurisdizione universale che permette loro , appunto, di iniziare un procedimento penale nei confronti di un soggetto non cittadino dello Stato di riferimento anche quando la vittima non è una cittadino del medesimo e il reato non è stato commesso sotto la sua giurisdizione (territoriale o meno). Questo è, di fatto, quello che è accaduto nel caso in questione: il processo svoltosi in Germania, rappresenta, infatti, uno dei pochi casi in cui tale principio è stato attutato nei confronti di un cittadino iracheno, membro del sedicente Stato Islamico, accusato di aver perpetrato reati in territorio iracheno nei confronti di una bambina irachena. È chiaro, dunque, come gli obblighi della Germania nel caso di specie fossero solo “morali”.

La Germania ha potuto iniziare tale procedimento non solo perchè la legislazione nazionale prevede la possibilità di applicare tale principio, ma anche perchè il suo codice penale contempla come reati anche i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra e il genocidio. Secondo la normativa tedesca, genocidio è quel reato inquadrabile come “l’uccisione di una persona facente parte di un più ampio un gruppo, con l’intento di distruggere l’intero gruppo” – definizione che riprende gli elementi fondanti e i requisiti contenuti nella Convenzione contro il Genocidio (1948) e lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale (1998).

Il Team Investigativo delle Nazioni Unite che si occupa di crimini commessi dall’ISIS (UNITAD), il maggio scorso aveva pubblicato un rapporto in cui aveva già definito le violenze sistematiche perpetrate dall’ISIS nei confronti degli yazidi come “genocidio”. Dai dati raccolti, infatti, emerge che le atrocità a cui tale minoranza religiosa è stata sottomessa, inclusi stupri seriali e altre forme di violenza sessuale, fossero volte alla distruzione permanente della capacità delle donne di poter aver figli e costruire quindi famiglie all’interno della comunità degli yazidi. UNITAD ha anche sottolineato che tali atrocità e crimini vengono commessi ancora adesso. Nel 2016 anche la Commissione d’Inchiesta sulla Siria aveva etichettato le atrocità subite dagli yazidi come genocidio. Nel caso di specie, la Commissione d’Inchiesta aveva fatto riferimento alla Convenzione contro il Genocidio del 1948, stabilendo che l’ISIS abbia cercato di “distruggere gli yazidi in una molteplicità di modi”.

Nonostante il linguaggio e il riconoscimento delle Nazioni Unite, però, come affermato da Natia Navrouzov, Direttore dell’ufficio legale della ONG globale yazidi Yazda, “da avvocato so quanto sia difficile sostanziare le accuse di genocidio [....] [:] naturalmente sappiamo che l’ISIS ha perpetrato un genocidio contro gli yazidi. Ma in ogni processo, bisogna dimostrare che questa particolare persona aveva l'intenzione di commettere un genocidio contro gli yazidi.”. Ed è quello, però, che la Corte di Francoforte ha stabilito oltre ogni ragionevole dubbio, condannando all’ergastolo Taha al-Jumailly poichè “intendeva eliminare la minoranza religiosa degli yazidi acquistando le due donne yazidi e rendendole schiave”. Altri sopravvissuti, che hanno anche preso parte al processo in qualità di testimoni, hanno sottolineato dettagliatamente la “natura sistemica dello sterminio mirato degli yazidi”.

Questa sentenza è “il momento che gli yazidi aspettavano” da tempo, ha affermato Amal Clooney, parte del team legale che ha rappresentato la madre della bambina, non solo perchè per la prima volta vi è il riconoscimento che gli atti dello Stato Islamico contro la comunità degli yazidi equivalgono a genocidio, ma perchè questo rappresenta il primo passo per ottenere giustizia. “Sette anni dopo il genocidio, era ora di andare avanti nella lotta contro l'impunità per i crimini contro gli yazidi e portare giustizia alle vittime!” afferma una sopravvissuta yazida irachena, “Ma il verdetto può essere solo un inizio, ulteriori procedimenti devono seguire per portare alla luce la verità sui gravi crimini contro la mia comunità religiosa”.

È pur certo che quello che verrà dopo questa sentenza è ancora da scoprire. Nadia Murad, Premio Nobel per la Pace 2018 e yazidi sopravvissuta a schiavitù, però, ha già richiesto a gran voce al Consiglio di Sicurezza ONU di riferire la questione yazidi alla Corte Penale Internazionale o la creazione di un tribunale specifico per il genocidio commesso contro la comunità.


A cura di Serena Zanirato

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