Anche quest'anno, è arrivato il 25 novembre, la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Una ricorrenza instauratasi piuttosto di recente, per un fenomeno molto antico: è stata una risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite – la numero 54/134 – a introdurla nel 1999. Da allora, le istituzioni nazionali e internazionali così come le associazioni e tutti i soggetti che si muovono nel campo dell'attivismo si muovono massicciamente, al ricorre della data, per organizzare flashmob, convegni, momenti di sensibilizzazione per scongiurare il replicarsi di fenomeni come il femminicidio, la violenza verbale e psicologica, gli abusi che abbiano le dinamiche di genere al centro delle loro motivazioni – insomma, che colpiscano le donne in quanto tali.
I riflettori sul 25 novembre sono aumentati di anno in anno, con campagne sempre più popolari.
Nel frattempo, i numeri sul femminicidio e sulla violenza di genere in Italia hanno continuato a peggiorare.
Il Ministero dell'Interno dichiara, in data 22 novembre, che nel periodo di tempo intercorso fra l'1 gennaio e il 21 novembre 2021, si sono registrate 109 vittime di genere femminile – nel report, “donne” - di cui 93 uccise in ambito familiare-affettivo; di queste, 63 sono state uccise per mano del – sottolineato, maschile – partner o ex partner: sono queste ultime, perlopiù, che trovano nei titoli dei giornali e dei mezzi d'informazione la classificazione di vittima di “femminicidio” - in senso stretto, l'uccisione di una donna in quanto donna. Questo dato aumenta in modo consistente - +8% rispetto a quello dello scorso anno – un aumento costante, che sembra quasi inesorabile.
È preparandoci dunque a un 25 novembre in cui questo dato verrà presentato – come tutti gli anni – nella commozione generale, elencando probabilmente i numeri e i nomi delle vittime di quest'anno, mettendo in campo scarpe e simboli rossi, che viene spontaneo dire una cosa: siamo stanche.
Siamo stanche che ogni anno arrivi il 25 novembre, ogni anno ci siano sempre di più i riflettori puntati su questa ricorrenza, ci siano più eventi, commemorazioni, spettacoli, opinionisti e opinioniste. E che ogni anno, quando arriva il 25 novembre, il dato sul femminicidio – ma anche quelli sulla violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale – sia sempre, inesorabilmente, peggiore.
In questi giorni, dopo l'omicidio di Juana Cecilia HazanaLoayza a Reggio Emilia – qui un approfondimento - si è riacceso il dibattito sui gap del diritto penale nel tutelare le vittime di violenza di genere, specialmente di stalking, maltrattamenti e percosse, spesso l'anticamera del femminicidio. Si è parlato di inasprimento delle pene, di assegnare una scorta alle accertate vittime di stalking, di proteggere di più le donne. Ma cosa vuol dire proteggerci davvero?
Siamo stanche che le soluzioni offerte riguardino sempre noi, come ci dobbiamo comportare, dove dobbiamo andare, a chi dobbiamo accompagnarci per essere al sicuro. La proposta di una scorta, che pure, forse, si è resa necessaria, è un fallimento dello Stato e del sistema giudiziario, perché è indice di un sistema che ammette di non essere in grado di fare prevenzione e di fare riabilitazione. È indice di un sistema che, anziché concentrarsi sul monitoraggio e sul percorso riabilitativo dei potenziali autori delle violenze, si è concentrato di nuovo solo sulla vittima. Sul sacrificio della sua libertà – già ampiamente limitata dalla violenza - in nome di una protezione che, evidentemente, non si è in grado di offrire in altra maniera.
Siamo stanche che le soluzioni offerte siano sempre estemporanee e non sembrino mai rispondere a quei problemi, profondamente permeanti la nostra società e il sistema giudiziario, che arrivano prima e conducono alla violenza, all'omicidio. Capita spesso, quando si legge di femminicidio, di trovare molto victimblaming – espressione con cui si indica l'identificazione della vittima di un crimine parzialmente o interamente responsabile di ciò che le è accaduto. Una delle affermazioni che più spesso leggiamo, quando si parla di violenza di genere e femminicidio, è “la vittima non aveva denunciato”. Come se in fondo fossero un po' responsabili, queste donne ammazzate, per non essersi rivolta all'autorità.
Il rapporto semestrale riferito alla prima parte del 2021, a cura del Dipartimento della Pubblica sicurezza - Direzione centrale della Polizia criminale - Servizio analisi criminale, indica un fatto, che fa sprofondare il cuore. Al 1522 - il numero del servizio pubblico anti-violenza e anti stalking - la maggior parte delle vittime dichiara di non aver denunciato la violenza. Nel 2020 il 14,2% ha sporto denuncia, il 2,7% aveva denunciato, ma ha poi ritirato la denuncia, l’83,1% non ha mai denunciato, percentuale aumentata rispetto agli anni precedenti. Ora, di fronte a questi numeri che sono impressionanti, abbiamo il dovere di chiederci quanta sia effettivamente la violenza sommersa. E di pensare che forse – forse – non è colpa delle donne se non denunciano, e invece tanta ritrosia ha le proprie cause altrove. Ad esempio, nella mancanza di formazione degli operatori e delle operatrici del diritto, del sistema giudiziario e del sistema sanitario nell'affrontare la violenza di genere in ogni sua forma: se ti aspetti di trovarti di fronte qualcuno che non ti crede, come spesso accade, se sai che gli accertamenti saranno troppo lunghi e rischieranno di metterti ancora più in pericolo, se hai anche paura di dover affrontare lo stigma e lo scetticismo altrui, oltre alla violenza che stai già subendo, non denunci. Preghi che non peggiori e basta.
Anche quando decidi di rivolgerti a qualcuno, ecco che rischia di non esserci nessuno. Questo perché, nonostante tutti i 25 novembre dal 1999 ad oggi, i finanziamenti ai Centri Antiviolenza e alle Case Rifugio continuano ad essere regolati da meccanismi poco chiari, nonché scarsi, inadeguati, costantemente oggetto di tagli e rallentamenti. Il report “Cronache di un’occasione mancata” erogato nel 2021 da ActionAid, fra le varie rivela che il Dipartimento Pari Opportunità, nell’ultimo anno, ha impiegato mesi per erogare le risorse per i Centri alle Regioni. A loro volta, a ottobre 2021 le Regioni risultano aver erogato solo il 2% dei fondi ai Centri e agli enti gestori dei servizi di prevenzione e protezione.
Dunque siamo stanche dei convegni e delle scarpette rosse. Vogliamo un sistema che riconosca il proprio dovere di formarsi per capire la violenza di genere, per affrontarla insieme a noi quando ne siamo vittima, che ci prenda sul serio prima che qualcuno ci ammazzi. Che non ci colpevolizzi persino dopo la nostra morte. Che non parli d'amore, o di sesso, o di passione in relazione all'omicidio e alla violenza – perché amore sta a femminicidio come sesso sta allo stupro, cioè zero; che invece, prenda questi fenomeni per ciò che sono: la conseguenza di un sistema patriarcale in cui le donne e le ragazze devono appartenere agli uomini e ai ragazzi. Un sistema di cui fanno parte tuttз, da coloro che le ammazzano, che le picchiano, che le violentano, come anche quello stesso sistema giudiziario che non le aiuta, su tutti i livelli.
Siamo stanche, siamo arrabbiate, vogliamo di più, qualcosa di meglio oltre i convegni, le vostre lacrime e le vostre parole, il resto dell'anno, quando il 25 novembre finisce e ricomincia la paura.
SE SEI VITTIMA DI VIOLENZA E/O STALKING, CHIAMA IL 1522 O RIVOLGITI A UN CENTRO ANTIVIOLENZA NELLA TUA CITTÀ, GLI OPERATORI E LE OPERATRICI SAPRANNO TENERTI AL SICURO
A cura di Greta Temporin
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