Gli assorbenti come beni di lusso, la period poverty e Laura Castelli
‘È arrivata zia Rose!’, diceva un’amica; l’altra, più possessiva, aveva ‘le sue cose’, la vicina era ‘indisposta’ e quell’altra ancora attraversava quel periodo in cui non poteva fare il bagno e andava al mare coi calzoncini.
Le mestruazioni, questo grande tabù. Lungi dall’essere considerate una normale funzione fisiologica, rappresentano forse, ancora oggi, la più alta barriera nella dialettica uomo-donna.
Ma oltre il discorso filosofico c’è di più.
C’è che gli assorbenti igienici femminili, strumento indispensabile per poter continuare a relazionarsi con il mondo anche ‘in quei giorni lì’, sono tassati con IVA al 22%, percentuale questa riservata ai beni di lusso, dei quali si potrebbe anche fare a meno: vino, sigarette, gioielli (ma anche carta igienica, pannolini e latte in polvere: la battaglia si combatte su più fronti).
Il tartufo, nel frattempo, è sceso al 5%, mentre i rasoi da barba sono da tempo considerati beni di prima necessità, con IVA al 4%. Come a dire che un uomo non può presentarsi in ufficio con la barba di due giorni, ma la donna ben può andarci con i pantaloni maculati di rosso.
Due conseguenze discendono direttamente dalla descritta situazione: una è prettamente di natura economica, l’altra potremmo definirla sociologica.
Le mestruazioni tengono compagnia ad ogni rappresentante dell’universo femminile dai 5 ai 7 giorni ogni 4 settimane. Ogni giorno dovrebbero utilizzarsi 5/6 assorbenti e i pacchetti ‘formato standard’, al costo medio di circa 4 euro l’uno, ne contengono mediamente una quindicina. Il calcolo è presto fatto (non è vero, ci è voluta la calcolatrice): in un anno una donna spende intorno ai 100 euro per l’acquisto degli assorbenti, spesa che in un’intera vita (approssimativamente sono 40 gli anni di fertilità) ammonta all’incirca a 4000 euro. Una somma di non poco conto, che diminuirebbe di circa 1000 euro con l’abbassamento o l’abolizione della tampon tax.
L’altra conseguenza è meno evidente, ma forse ancora più profonda e ha direttamente a che fare con quel tabù culturale di cui si diceva in apertura. A prescindere dal discorso economico, considerare gli assorbenti, di fatto, un bene di lusso, trasmette un messaggio distorto: una donna non sceglie di avere le mestruazioni, né di comprare gli assorbenti. Con la stessa spesa potrebbe acquistare, chessò, una lezione di arrampicata, svariati biglietti per il cinema, un pranzo all you can eat, diversi litri di benzina, un libro. Le mestruazioni sono una funzione fisiologica inevitabile e il mancato inserimento degli assorbenti tra i beni di prima necessità è una grande lacuna nella politica sociale e sanitaria del governo.
Un’ultima considerazione. I più attenti ecologisti potrebbero obiettare che una maggior tassazione sugli assorbenti – che sono, in effetti, tra i cinque rifiuti più presenti sulle spiagge di tutta Europa – potrebbe indirizzare le acquirenti su prodotti più ecosostenibili, come le coppette mestruali. Anche in Commissione Europea serpeggiava la stessa idea, ma nel settembre 2018 gli assorbenti sono stati eliminati dalla lista di prodotti di plastica ‘usa e getta’ sui quali la Commissione proponeva di applicare la cd. ‘responsabilità allargata del produttore’, che prevede che l’azienda si faccia carico delle spese di gestione e smaltimento di simili rifiuti: il rischio che i sopravvenuti maggiori costi finissero per gravare sulle acquirenti finali era più che tangibile.
La protezione dell’ambiente e la lotta alla discriminazione di genere sono discorsi di pari importanza che, tuttavia, vanno affrontati separatamente: all’abbattimento (o quantomeno all’abbassamento) della tampon tax ben può accompagnarsi una campagna di sensibilizzazione sulle alternative agli assorbenti che, peraltro, nel lungo periodo rappresentano un risparmio di spesa considerevole, oltre che una scelta più ecosostenibile.
Ed è proprio il Parlamento Europeo a confermare la correttezza del ragionamento, con una Risoluzione (non vincolante) del gennaio 2019 su ‘parità di genere e politiche fiscali nell'Unione europea’, dove evidenzia il problema della cd. period poverty – in UK è risultato, ad esempio, che una donna su dieci non può permettersi gli assorbenti ed è costretta a sostituirli con calzini o altri tessuti – e non solo invita gli Stati membri ad abbassare ovvero a eliminare la tassa in questione, ma addirittura a fornire gratuitamente, all’interno delle strutture pubbliche, questi generi di primaria necessità.
Nell’eterna (speriamo di no) lotta alla discriminazione di genere e ai tabù dettati dai retaggi passati, StraLi sostiene la battaglia dell’Associazione Onde Rosa, promotrice della petizione ‘stop tampon tax: il ciclo non è un lusso’, che ad oggi ha già raccolto più di 200.000 firme.
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