Quando parliamo di crisi umanitaria si intende una situazione di grave difficoltà ai danni di una popolazione la cui sopravvivenza è messa in pericolo e può essere causata sia da catastrofi naturali sia da catastrofi derivate da azioni umane.
Per citare l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati Filippo Grandi, quella siriana è da considerare come una tra le peggiori crisi umanitarie dei nostri tempi, determinata da una guerra che è stata spesso definita come “senza fine”.
Tutto ha inizio nella primavera del 2011 quando, nel contesto delle primavere arabe, anche la Siria venne toccata da una serie di proteste da parte di studenti liberali che si opponevano al regime totalitario guidato da Bashar Al-Assad. Queste proteste, brutalmente represse, portarono ad un’escalation tale da farle diventare una vera e propria guerra civile. Ciò ha comportato non solo un grave danno di base all’economia del Paese, ma la violenta repressione della popolazione civile ha anche innescato una serie di sanzioni commerciali ed economiche contro il governo siriano sia da parte dei Paesi occidentali che da parte di alcuni Paesi limitrofi (come Turchia e Stati del Golfo), che hanno contribuito ad affossare ulteriormente la situazione economico-finanziaria siriana.
Il conflitto, tutt’ora in corso, è stato acuito maggiormente da due fattori principali: l’insorgere della presenza dello Stato Islamico sul territorio siriano e il conseguente intervento di alcuni Paesi esterni (quali Russia, Stati Uniti e Turchia). Ad oggi, dopo undici anni di guerra, il governo dittatoriale di Assad è riuscito a riacquistare il controllo su più della metà dei territori siriani, ma allo stesso tempo, le condizioni del Paese e della popolazione restano assai gravi e instabili. Si continua ad assistere ad una grave recessione dell’economia (dallo scoppio della guerra si conta che il PIL sia sceso del 60%) e ad un grave malfunzionamento delle infrastrutture civili, distrutte dagli innumerevoli attacchi indiscriminati compiuti a cadenza regolare in questi anni.
La situazione è stata maggiormente aggravata dallo scoppio della pandemia Covid-19, in un Paese dove meno del 60% degli ospedali sono effettivamente funzionali, dove manca personale medico e tecnico sanitario, dove i vaccini non sono arrivati come nei Paesi occidentali e dove le restrizioni imposte dal governo hanno contribuito al crollo dell’economia locale e ad accrescere la dilagante insicurezza alimentare. È purtroppo evidente come le principali vittime di questa crisi siano senza dubbio fra la popolazione civile, in questi anni sempre più spesso colpiti da attacchi militari indiscriminati per mano di tutte le parti del conflitto e danneggiati dalle disastrose conseguenze economiche, sociali e politiche che le ostilità hanno generato. Il conflitto ha infatti portato alla morte di centinaia di migliaia di persone, prodotto quasi sei milioni di richiedenti asilo politico in altri Stati, più di sei milioni tra sfollati e sfollate e costretto a condizioni di estrema povertà la maggior parte della popolazione civile.
Secondo il rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari “Humanitarian Needs Overview – Syrian Arab Republic”, a marzo 2021 si contavano ben 13.4 milioni di persone aventi necessità di aiuti umanitari, di cui più del 50% vertevano in condizioni considerate “severe” e quasi il 12% in condizioni considerate “catastrofiche”. Più in generale, quasi il 90% della popolazione siriana vive ad oggi in condizioni di povertà. La recessione economica derivata dal conflitto ha infatti comportato un costante aumento dei prezzi dei beni alimentari. Secondo il World Food Programme (WFP), la crisi ucraina sta esasperando un’insicurezza alimentare già aggravata dai lunghi anni del conflitto, dalla pandemia e dalle condizioni climatiche precarie del Paese: solo a marzo 2022, i prezzi dei beni alimentari sono aumentati del 24%, in seguito all’aumento dell’800% del prezzo avvenuto negli ultimi due anni. Come conseguenza, ben dodici milioni di civili si trovano ad oggi a vivere in condizioni di insicurezza alimentare, bisognosi di accesso a fonti di acqua sicure (degradate sia dal conflitto che dalla siccità) e a servizi igienico-sanitari di base. È purtroppo noto come per la popolazione dell’area i pasti completi siano ormai considerati un bene di lusso e la malnutrizione sia diventata un’infelice prassi tra la popolazione.
È innegabile che l’impatto purtroppo più grave si abbia su donne e bambini. Le prime sono sempre più vittime di violenza di genere: matrimoni precoci, violenze sessuali, abusi fisici e psicologici. In particolar modo, il matrimonio precoce viene visto come una forma di sicurezza finanziaria per le famiglie che vivono in condizioni di estrema povertà e le giovani fanciulle sono costrette a convolare a nozze in tenera età, considerando il matrimonio una protezione contro miseria e abusi da terzi. Ciò nonostante, molte donne soffrono di deperimento soprattutto durante la fase della gravidanza e dell’allattamento, creando gravi danni anche alla salute dei neonati. Infatti, la malnutrizione cronica è estremamente diffusa già dalla tenera età e comporta dei ritardi nello sviluppo. E il prezzo più alto di questa crisi umanitaria viene e verrà pagato proprio dalle generazioni future. I bambini e le bambine non sono solo vittime di abusi, costretti ad una propagata malnutrizione, ma non hanno neanche accesso ad una sanità funzionale, ad un sistema di educazione adeguato, sono costretti al lavoro minorile, molti di loro sono cresciuti sfollati, senza casa e senza uno o più membri della propria famiglia. E non bisogna dimenticare anche l’alto tasso di fanciulli costretti alle armi: secondo le Nazioni Unite, dal 2011 al 2020 quasi seimila bambini (alcuni anche minori di dieci anni) sono stati arruolati e più diecimila sono caduti vittime delle ostilità.
Per far fronte ad una crisi umanitaria di questa portata, uno degli strumenti sicuramente più efficaci è quello degli aiuti umanitari. Ad oggi, in alcune aree del Paese gli aiuti umanitari sono l’unica fonte di sostentamento di cui la popolazione possa giovare (come per le persone sfollate dei campi di Al-Hol e Al-Roj). Gli aiuti umanitari però non hanno sempre avuto l’effetto sperato: spesso, in questi lunghi anni di ostilità, il governo siriano ne ha bloccato l’accesso in particolar modo nelle aree più toccate dal conflitto.
In questo momento si ha la necessità di ribadire l’importanza e la gravità del disagio che continua a caratterizzare il Paese, per evitare che questo cada nel dimenticatoio e si trasformi in una crisi dimenticata e permanente.
Per concludere, citando il recente messaggio che gli alti rappresentanti delle agenzie delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, lo sviluppo e i rifugiati hanno rilasciato sulla crisi in Siria:
“[…] non è il momento di allontanarsi dai siriani, facendo della loro una crisi dimenticata. L’apatia non è un’opzione possibile. Milioni di persone in Siria e in tutta la regione hanno bisogno del nostro aiuto, ora più che mai. La soluzione alla crisi dovrà, naturalmente, essere politica. […]. Ma il popolo della Siria, i rifugiati e i Paesi ospitanti vicini, meritano una solidarietà internazionale e un sostegno continui”.
A cura di Ludovica Lucarelli
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