Il processo telematico

Durante la pandemia di Covid-19 iniziata nel 2020, la comunità giuridica italiana si è trovata divisa e combattuta sul tema del processo penale telematico. StraLi, composta da tante singole persone con competenze nel diritto e non, e con idee e posizioni diverse sul tema, aveva deciso inizialmente di non esprimersi.

Quello che però unisce ognuno di noi è la convinzione che il rispetto dei principi costituzionali e delle garanzie difensive debba rimanere inviolato ed inviolabile. Indipendentemente dall’opporsi radicalmente all’avvento di strumenti moderni, per i rischi che ne deriverebbero ai diritti processuali e penali dei singoli; o dal guardare agli stessi come uno strumento che, utilizzato per alcune udienze, possa positivamente supportare la giustizia (e la sua stessa esistenza, di questi tempi)

Per questo, di fronte ad una tale lesione di diritti, peraltro di una persona privata della propria libertà personale, nell’applicazione pratica dello strumento digitale, abbiamo deciso di rivolgerci alla Suprema Corte di Cassazione. 

Partiamo dai dati certi: siamo d’accordo che il/la giurista non sia un esperto/a di informatica ma che di certo, nel 2020, possa e debba saper utilizzare programmi di comunicazione da remoto. Eppure, anche se si posseggono i mezzi necessari per comprendere e utilizzare gli strumenti tecnologici, questo può alle volte non bastare per far funzionare la macchina della giustizia (mai metafora più appropriata!). 

L’introduzione raffazzonata e impulsiva di elementi di un “processo penale telematico” ha fatto drizzare i capelli a tantissime persone, che hanno denunciato una “distruzione delle regole del processo accusatorio” quali l’oralità e immediatezza, il contraddittorio tra le parti davanti a (o meglio: in presenza di) giudice terzo, la collegialità e il controllo democratico dato dalla pubblicità dell’udienza. 

Secondo tante persone, sono tutt’altre le modalità per affrontare l’emergenza garantendo la salute, prevedendo accorgimenti che consentano di celebrare le udienze ottemperando agli allora noti diktat del distanziamento sociale. 

Secondo altre, è necessaria una distinzione tra udienze che possono essere celebrate telematicamente senza soppressione delle garanzie costituzionali (ad esempio le tanto vituperate “udienze filtro”) e udienze che non lo consentono,  in quanto prevedono attività istruttoria (ad esempio: come può garantire la genuinità di una testimonianza senza la possibilità di controllo dei comportamenti dellə testimone o delle persone che con ləi – al riparo dall’obiettivo – condividono la stanza?). 

Sicuramente crediamo che ogni contestazione astratta ed indiscriminata della modalità telematica di celebrazione dei processi non contribuisca ad alimentare il dibattito e rischi di rimanere voce inascoltata. 

Abbiamo quindi atteso le prime estrinsecazioni concrete del processo penale telematico per farci un’idea e, soprattutto, ci siamo imposti di agire a partire da un caso concreto. Questa del resto è la nostra attività: partendo dalla contestazione di una singola violazione concreta di una garanzia fondamentale, contribuire a formare un principio di diritto valevole per tutti. 

Il caso è arrivato e StraLi si è attivata per la tutela delle più fondamentali garanzie costituzionali che devono sorreggere (senza eccezioni, telematiche o meno) il processo penale. StraLi ha infatti supportato il ricorso in Cassazione dell’avv. Federica Genovesi che si è vista precludere la possibilità di partecipare ad un’udienza camerale davanti ad un Tribunale di Sorveglianza. 

Anche nell’ambito del procedimento di sorveglianza, l’udienza costituisce il “baricentro” procedimentale, in quanto in tale fase si sviluppa e si esaurisce tutta la dialettica tra le parti. Nel caso concreto, avuta la conferma di poter utilizzare la piattaforma Teams per la celebrazione dell’udienza, il difensore si trovava nella cd. “stanza virtuale” all’ora stabilita, in attesa di essere contattato. La scansione temporale dei messaggi in chat dimostra come ciò non sia avvenuto. 

Ci sono stati tentativi di collegamento? Su quali basi il Presidente del Collegio, a tre minuti dalla prima connessione e nell’ambito di un’udienza fatta durare complessivamente altri due, ha ritenuto superflua la presenza del difensore di fiducia, procedendo dal vivo con il difensore d’ufficio? (per le udienze avanti al Tribunale di Sorveglianza è sempre presente un difensore “di giornata”). Non lo sappiamo. 

Nel verbale d’udienza (aperto alle ore 10.34, a tre minuti dalla prima trasmissione al difensore del link al quale connettersi) non viene riportato alcun tentativo di connessione con il difensore. Quando il cancelliere comunicava al difensore della presenza di, non meglio specificati, “problemi” con la connessione (ore 10.38), l’udienza si era in realtà già conclusa (!) (come si evince dall’orario di chiusura del verbale, ore 10.36).  

N.b. per i non avvezzi alle aule di udienza: sì signori, due minuti – formalità di apertura e chiusura comprese – per decidere se una persona deve essere collocata in carcere o no. 

Ma non è una questione di tempo quella di cui vogliamo parlare oggi, bensì del diritto di difesa e della sua palese violazione, che deriva in via diretta da un’applicazione distorta del metodo telematico. 

Ci troviamo, invero, di fronte ad una situazione del tutto peculiare e nuova, che discende direttamente dall’adozione di modalità telematiche di celebrazione dell’udienza. Va qui chiarito che, in relazione alle menzionate modalità, il difensore del caso, in astratto, nulla aveva eccepito. Anzi, egli aveva acconsentito a fruirne. In concreto, la mancata attivazione del collegamento gli ha tuttavia impedito il corretto esercizio del diritto di difesa. 

L’immagine è paragonabile a quella del difensore presente fuori dall’aula in cui si celebrerà la sua udienza ed al quale, tuttavia, viene negata la possibilità di accedervi e, conseguentemente, di intervenire ed assistere a quanto accade all’interno. 

Nell’alveo delle garanzie, certamente rientra il diritto del condannato alla difesa tecnica nei casi in cui la presenza del difensore sia indicata come necessaria, come accade nell’udienza camerale di cui all’art. 666, co. 4, c.p.p. (“l’udienza si svolge con la partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero”); da ciò discende che il difetto della presenza del difensore, non a lui imputabile, integra una nullità generale ed assoluta ex artt. 178, lett. c), e 179 c.p.p., rilevabile in ogni stato e grado del procedimento. E non cambia qualcosa la presenza del difensore d’ufficio, chiamato in sostituzione ex art. 97 comma 4 c.p.p..  

La Corte di Cassazione ha infatti affermato da tempo, a Sezioni Unite, che l’art. 97, comma 1 c.p.p. prevede la designazione del difensore d’ufficio solo in via residuale, qualora l’imputato non abbia nominato un difensore di fiducia o ne sia “rimasto privo” e che una sostituzione effettuata in assenza delle condizioni di legge è illegittima, in quanto confligge con il principio d’immutabilità del difensore e pregiudica l’attività preparatoria alla difesa, imprescindibile in un processo di parti. 

Visto che oggi siamo appassionati di metafore, e soprattutto che speriamo di poter spiegare il problema anche al coraggioso non giurista giunto fin qui, ecco un’immagine per chiarire il punto fondamentale della questione, ossia che non si tratta della bravura o meno del difensore d’ufficio, bensì di una preparazione adeguata per il singolo processo, della conoscenza delle carte processuali e della persona assistita.

Se l’udienza fosse uno spettacolo ed il difensore d’ufficio fosse Leonardo Di Caprio, nemmeno questo lo salverebbe dai fischi del pubblico alla chiusura del sipario. Leo non avrebbe potuto fare e dire molto, perchè non aveva mai letto il copione né imparato la parte.  

L’attore-avvocato non ha avuto la possibilità di recitare, e all’esito dello spettacolo una persona è rientrata in carcere. Si è assistito ad un impedimento in concreto della partecipazione del difensore di fiducia all’udienza e, conseguentemente, ad una negazione della difesa tecnica e qualificata a cui, nel caso, il condannato ha diritto. 

La difesa è imprescindibile e va garantita. L’introduzione di nuove modalità di celebrazione dell’udienza non può sacrificarla. 

Attraverso la presentazione del ricorso, StraLi mira ad ottenere una pronuncia che riconosca in concreto tale violazione e che prescriva un determinato comportamento nell’utilizzo di tali sistemi telematici (un’idea: effettuare almeno tre tentativi di collegamento e menzionare nel verbale il collegamento mancante e le eventuali cause). 

Il futuro ci si è posto di fronte nell’arco di poche settimane, ma questo fatto non deve essere una scusa per limitare le garanzie imprescindibili della difesa. Al contrario, questa deve essere l’occasione per ragionare, ben disciplinare, e infine utilizzare gli strumenti informatici in maniera conforme ai principi generali di diritto.

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