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IL CASO MORTE IN CARCERE

Il deficit di indagini: la violazione dell'articolo 2 della Convenzione Europea

dei Diritti dell'Uomo

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I familiari del sig. ****, deceduto **** il *****, persona offesa e danneggiata nel procedimento penale instaurato al fine di accertare le cause e responsabilità della morte del Sig. **** per il tramite dell’avvocato Chiara Luciani, hanno formulato atto di opposizione all’archiviazione del suddetto procedimento.

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L’intervento dell’associazione StraLi si incentra sull’individuazione dei profili maggiormente rilevanti del caso e per sostenere la causa, ritenuta strategica dalla stessa associazione.

Il profilo di rilevanza allo stato evidenziabile nel caso sottoposto riguarda un deficit di tutela con riferimento all’articolo 2 della CEDU.

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Vanno in proposito in primo luogo richiamate le considerazioni già svolte nell’atto di opposizione con riferimento alla configurabilità di un preciso onere in capo alle autorità statali di proteggere la vita e la salute dei detenuti (tra le molte pronunce, Mustafayev v. Azerbaijan, no. 47095/09, 2017, § 53; Naumenko v. Ukraine, no. 42023/98, 2004, §112; Dzieciak v. Poland, no. 77766/01, 2008, § 91). 

Si ritiene violato l’art. 2 CEDU anche sotto un diverso ed ulteriore profilo.

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In effetti l’importanza e la strategicità del caso in oggetto (nei termini di potenziale impatto che, una pronuncia delle Corti Superiori e sovranazionali sul caso, potrebbe avere per elevare gli standard di tutela interni) riguarda principalmente il difetto di indagini accurate sull’accertamento delle responsabilità eventualmente individuabili nel caso.

Nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo infatti si sostiene che visto il loro carattere fondamentale, gli articoli 2 (e 3) della Convenzione prevedono un obbligo procedurale di effettuare un accertamento efficace delle presunte violazioni.

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In altri termini, la Convenzione Europea nel suo art. 2 va interpretata nel senso che lo Stato deve garantire in primis (ex ante) la tutela della vita delle persone detenute ed ex post (quando lo Stato “indaga su se stesso”) garantire che l’accertamento delle responsabilità sia efficace, tempestivo ed approfondito.

In particolare la Corte prevede precisi standard da rispettare nel corso delle indagini per l’accertamento delle cause della morte in ambito carcerario.

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Sono numerose le sentenze che riconoscono la responsabilità dello Stato allorché non abbia compiuto indagini approfondite sulle responsabilità per le morti in carcere.

Più nello specifico l’indagine sulle cause di una morte devono garantire i seguenti standard di tutela ed essere:  a) avviate ex officio; b) tempestive e che si concludano prima dell’intervento della prescrizione; c) approfondite ed effettive; d) improntate a diligenza; e) idonee a identificare e punire i colpevoli; f) improntate a trasparenza; g) tali da consentire la partecipazione della vittima del reato o dei suoi familiari; h) tali da concludersi in un tempo ragionevole; i) svolte da un’autorità indipendente e imparziale rispetto a quella cui afferiscono i soggetti coinvolti e sottoposta a controllo pubblico[1].

 

Nel caso in esame gli aspetti che appaiono maggiormente rilevanti sotto questi profili sono: 

  1. il complessivo tempo trascorso dal fatto. Il decesso è avvenuto il **** ed oggi a distanza di ben tre anni e mezzo si discute della prima richiesta di archiviazione del caso;

  2. l’irragionevole tempo trascorso tra l’emissione della richiesta di archiviazione e la successiva (di circa due anni) possibilità di attivazione del procedimento incidentale ex art. 410 c.p.p. con la notifica dell’atto: tale fatto ha ingiustamente pregiudicato il diritto della persona offesa di ricevere notizie circa l’esito del procedimento e richiedere l’immediata acquisizione di elementi di prova.

  3. il difetto di attività investigativa: l’unica attività compiuta è stata l’esame autoptico: non sono state acquisite informazioni testimoniali nell’immediatezza dei fatti e tantomeno successivamente, non sono stati formalmente iscritti eventuali responsabili del reato rimanendo il procedimento sempre contro ignoti.

 

 

In particolare i seguenti standard di indagine non paiono assolutamente rispettati nel caso di specie:

  1. Sotto il profilo evidenziato nel punto 3) va detto che secondo la giurisprudenza della Corte EDU, le autorità devono prendere tutte le misure ragionevoli in loro potere per assicurare la produzione delle prove riguardanti il caso, includendo, inter alia, testimonianze oculari, perizie medico-legali e, se appropriato, un'autopsia che fornisca un resoconto completo e preciso delle lesioni e un'analisi obiettiva dei risultati clinici, compresa la causa del decesso (per quanto riguarda le autopsie, v., ad esempio, Salman c. Turchia [GC], n. 21.986/93, § 106, CEDU 2000- VII; sulle testimonianze, si veda, ad esempio, Tanrıkulu c. Turchia [GC], n. 23763/94, § 109, CEDU 1999-IV; sulle perizie medico-legali, v., ad esempio, Gül c. Turchia, n. 22.676/93, § 89, 14 dicembre 2000). Qualsiasi vizio di indagine che mina la capacità di stabilire la causa del decesso o la persona responsabile rischia di disattendere quest’esigenza (vedi AvÅŸar, cit. sopra, § § 393-395).

  2. Sotto il particolare profilo di cui al punto 1) va detto che l'indagine deve essere accessibile alla famiglia della vittima nella misura necessaria per salvaguardare i suoi legittimi interessi. Ci deve essere anche un elemento sufficiente di controllo pubblico delle indagini, il grado del quale può variare da caso a caso (vedi Hugh Jordan, cit., § 109, e Varnava e altri c. Turchia [GC], n. 16.064/90, 16.065/90, 16.066/90, 16.068/90, 16.069/90, 16.070/90, 16.071/90, 16.072/90 e 16.073/90, § 191, CEDU 2009-; v. anche Güleç, cit. , § 82, dove il padre della vittima non era stato informato della decisione di non luogo a procedere, e Ogur, cit., § 92, dove la famiglia della vittima non aveva avuto accesso alle indagini o agli atti giudiziari);

  3. Da ultimo si segnala con riferimento alla durata delle indagini e dell’accertamento la sentenza del 5 febbraio 2019, Algül e altri c. Turchia, nella quale la Corte europea affronta il tema della responsabilità dello Stato per la morte di un militare in servizio. Nel caso la Corte dichiara la violazione del volet pénal dell’art. 2 CEDU, sempre sul versante procedurale, in quanto le indagini condotte sulla morte della vittima hanno avuto una durata eccessiva e non hanno portato a risultati effettivi sulla ricostruzione dell’accaduto.

 

 

Meritano, da ultimo, di essere citate le seguenti due pronunce recentissime della Corte EDU che si confrontano efficacemente con il caso di specie:

 

1)        Nella Sentenza 7 febbraio 2019, Patsaki e altri c. Grecia, la Corte ha affrontato un caso relativo al decesso di un detenuto a pochi mesi dalla condanna. In particolare, i parenti della vittima affermavano che la morte del loro congiunto fosse stata determinata dalla carenza di cure adeguate all’interno della struttura carceraria. Sul versante procedurale i ricorrenti lamentano l’eccessiva durata e la scarsa effettività delle indagini condotte sulle circostanze della morte della vittima. La Corte europea affronta prima questo secondo profilo e rileva la violazione dell’art. 2 CEDU per l’eccessiva durata delle indagini condotte dalle autorità greche sulla morte della vittima – 4 anni e 8 mesi – nonché per il fatto che nel corso delle stesse non sono stati effettuati tutti gli accertamenti necessari ad individuare le cause e gli eventuali responsabili del decesso. In particolare, non sono state raccolte informazioni dai compagni di cella della vittima e l’indagine condotta nei confronti della direttrice aggiunta del carcere è stata chiusa senza compiere significativi atti investigativi e senza fornire motivazioni.

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2)        Nella sentenza del 21 febbraio 2019, Mammadov e altri c. Azerbaigian, la Corte dichiara ancora una volta la violazione degli obblighi procedurali discendenti dall’art. 2 CEDU in quanto le autorità statali non hanno condotto un’indagine sufficientemente approfondita sulle cause della morte di un detenuto, ed in particolare hanno omesso di considerare l’influenza che il ritardato trasferimento in ospedale ha avuto sul decesso, nonché è stata la riscontrata la violazione della medesima disposizione nell’omissione di coinvolgere la moglie e il figlio della vittima nelle indagini o di informarli circa il loro esito

In conclusione, si riscontra nel caso di specie, allo stato, un totale deficit di tutela rispetto agli standard enucleati dalla Corte EDU e sopra riassunti.

La prosecuzione delle indagini nel senso specificamente indicato nell’atto di opposizione appare dunque l’unica strada percorribile al fine di rispettare sotto il profilo procedurale sopra indicato il disposto di cui all’art. 2 CEDU.

 

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[1] Corte EDU, 26 marzo 2013, Valuliene c. Lituania, in riferimento a situazioni in cui il procedimento si interrompe per il sopravvento della prescrizione maturata a causa di omissioni delle autorità competenti in riferimento a casi di violenza domestica. Su effettività: Corte EDU, 28 ottobre 1998, Assenov e altri c. Bulgaria,  Corte EDU, 4 maggio 2001, Kelly e altri c. Regno Unito, Corte EDU, 4 maggio 2001, Hugh Jordan c. Regno Unito. 30 Corte EDU, 10 febbraio 2011, Premininy c. Russia, § 109.

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