Morte in carcere

Il deficit di indagini sulla morte di una persona detenuta può costituire violazione dell’articolo 2 della CEDU

La famiglia di una persona detenuta, deceduta in carcere, si è opposta all’archiviazione del procedimento penale instaurato al fine di accertare le cause e responsabilità della morte del soggetto, per il tramite dell’avvocato Chiara Luciani.

​Come StraLi, il nostro intervento a fianco dell’avvocato si è incentrato sull’individuazione dei profili maggiormente rilevanti del caso e per sostenere la causa, ritenuta strategica dalla stessa associazione. Il profilo di rilevanza allo stato evidenziabile nel caso sottoposto riguarda un deficit di tutela con riferimento all’articolo 2 della CEDU, e in particolare la configurabilità di un preciso onere in capo alle autorità statali di proteggere la vita e la salute delle persone detenute. 

Inoltre in questo caso, si ritiene violato l’art. 2 CEDU anche sotto un diverso ed ulteriore profilo.

In effetti l’importanza e la strategicità del caso in oggetto (nei termini di potenziale impatto che, una pronuncia delle Corti Superiori e sovranazionali sul caso, potrebbe avere per elevare gli standard di tutela interni) riguardano principalmente il difetto di indagini accurate sull’accertamento delle responsabilità eventualmente individuabili nel caso.

Nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo infatti, si sostiene che visto il loro carattere fondamentale, gli articoli 2 (e 3) della Convenzione prevedono un obbligo procedurale di effettuare un accertamento efficace delle presunte violazioni.

In altri termini, la CEDU nel suo art. 2 va interpretata nel senso che lo Stato deve garantire in primis (ex ante) la tutela della vita delle persone detenute ed ex post garantire che l’accertamento delle responsabilità sia efficace, tempestivo ed approfondito (quando lo Stato “indaga su se stesso”).

In particolare la Corte prevede precisi standard da rispettare nel corso delle indagini per l’accertamento delle cause della morte in ambito carcerario. Sono numerose le sentenze che riconoscono la responsabilità dello Stato allorché non abbia compiuto indagini approfondite sulle responsabilità per le morti in carcere.

Più nello specifico l’indagine sulle cause di una morte devono garantire i seguenti standard di tutela ed essere:  

  1. avviate ex officio;
  2. tempestive e che si concludano prima dell’intervento della prescrizione; 
  3. approfondite ed effettive; 
  4. improntate a diligenza; 
  5. idonee a identificare e punire i colpevoli; 
  6. improntate a trasparenza; 
  7. tali da consentire la partecipazione della vittima del reato o dei suoi familiari;
  8.  tali da concludersi in un tempo ragionevole; 
  9. svolte da un’autorità indipendente e imparziale rispetto a quella cui afferiscono i soggetti coinvolti e sottoposta a controllo pubblico.

Nel caso in esame gli aspetti che appaiono maggiormente rilevanti sotto questi profili sono: 

  1. il complessivo tempo trascorso dal fatto. Il decesso è avvenuto tre anni e mezzo dopo il momento in cui si è discusso della prima richiesta di archiviazione del caso.
  2. l’irragionevole tempo trascorso tra l’emissione della richiesta di archiviazione e la successiva (di circa due anni) possibilità di attivazione del procedimento incidentale ex art. 410 c.p.p. con la notifica dell’atto: tale fatto ha ingiustamente pregiudicato il diritto della persona offesa di ricevere notizie circa l’esito del procedimento e richiedere l’immediata acquisizione di elementi di prova.
  3. il difetto di attività investigativa: l’unica attività compiuta è stata l’esame autoptico: non sono state acquisite informazioni testimoniali nell’immediatezza dei fatti e tantomeno successivamente, non sono stati formalmente iscritti eventuali responsabili del reato rimanendo il procedimento sempre contro ignoti.

In particolare i seguenti standard di indagine non paiono assolutamente rispettati nel caso di specie:

Sotto il profilo evidenziato nel punto c) va detto che secondo la giurisprudenza della Corte EDU, le autorità devono prendere tutte le misure ragionevoli in loro potere per assicurare la produzione delle prove riguardanti il caso, includendo, inter alia, testimonianze oculari, perizie medico-legali e, se appropriato, un’autopsia che fornisca un resoconto completo e preciso delle lesioni e un’analisi obiettiva dei risultati clinici, compresa la causa del decesso. Qualsiasi vizio di indagine che mina la capacità di stabilire la causa del decesso o la persona responsabile rischia di disattendere questa esigenza.

Sotto il particolare profilo di cui al punto a) va detto che l’indagine deve essere accessibile alla famiglia della vittima nella misura necessaria per salvaguardare i suoi legittimi interessi. Ci deve essere anche un elemento sufficiente di controllo pubblico delle indagini, il grado del quale può variare da caso a caso.

Da ultimo si segnala con riferimento alla durata delle indagini e dell’accertamento la sentenza del 5 febbraio 2019, Algül e altri c. Turchia, nella quale la Corte europea affronta il tema della responsabilità dello Stato per la morte di un militare in servizio. Nel caso la Corte dichiara la violazione del volet pénal dell’art. 2 CEDU, sempre sul versante procedurale, in quanto le indagini condotte sulla morte della vittima hanno avuto una durata eccessiva e non hanno portato a risultati effettivi sulla ricostruzione dell’accaduto.

La prosecuzione delle indagini nel senso specificamente indicato nell’atto di opposizione appare dunque l’unica strada percorribile al fine di rispettare sotto il profilo procedurale sopra indicato il disposto di cui all’art. 2 CEDU.
A seguito della sua archiviazione, il caso è ora al vaglio della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. 

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