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I NODI VENGONO AL PETTINE, L’ITALIA DAVANTI AL CONSIGLIO ONU PER I DIRITTI UMANI

Aggiornamento: 29 apr

Il 24 febbraio a Ginevra si è aperta la 43esima adunanza del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, organo ONU che vigila sul rispetto dei diritti umani da parte degli Stati Membri e fornisce alla comunità internazionale un quadro completo e aggiornato di come siano (o non siano) garantiti i diritti fondamentali nelle varie aree del globo.

La sessione, che durerà fino al 20 marzo, permetterà al Consiglio di fare il punto sul livello generale di protezione di diritti e libertà negli Stati dell’ONU e di adottare risoluzioni (non vincolanti, d’accordo) indirizzate ai paesi in condizioni più critiche che indichino quali provvedimenti essi dovranno (dovrebbero, d’accordo) adottare per garantire a tutti un livello accettabile di tutela dei diritti fondamentali. In questa occasione, anche l’Italia dovrà rendere conto di quale sia l’attuale stato dei diritti umani sul suo territorio e dovrà mostrare quali progressi sono stati fatti dopo la brutta figura del novembre 2019, data dell’ultima revisione.


Perché dei progressi sono stati fatti, vero?


Cominciamo col dire che, in occasione della scorsa revisione, l’Italia aveva ricevuto ben 306 raccomandazioni (giusto un paio in più rispetto alle 184 ricevute nel 2014 ma si sa, quelli appena trascorsi sono stati “anni bellissimi”): gli argomenti nel mirino i lavoratori migranti e le minoranze.


Per quanto riguarda migranti e lavoro, il Consiglio delle Nazioni Unite ci raccomandava fra le altre cose di:

  • ratificare la Convenzione sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie, trattato transnazionale che ad oggi in Italia vale quanto il due di briscola;

  • rivedere i decreti sicurezza (si, proprio loro, i nostri bersagli preferiti);

  • rispettare il principio di non respingimento, questo sconosciuto a un certo caporione (capitano) lombardo per il quale al contrario ogni occasione è buona per partire con il ritornello “porti chiusi/no immigrati/stop barconi”.


Ci si chiedeva poi di lasciar lavorare le ONG, senza osteggiare i sistemi di salvataggio in mare, e di rendere il tutto più efficace istituendo un sistema di monitoraggio in grado di rilevare fenomeni di tratta e sfruttamento. A questa ramanzina aggiungevano le raccomandazioni del Consiglio d’Europa, che il 31 gennaio ci pregava di sospendere “ogni attività di cooperazione con la guardia costiera libica fino a che essa non rispetti i diritti umani dei migranti” e ci faceva capire che no, rinnovare il memorandum tra Italia e Libia in materia di respingimenti non è stata una grande idea.


Il Consiglio spostava poi l’attenzione sulla comunità LGBTQI, altro tema scottante per la politica nostrana. Tra le proposte, la creazione di un organismo indipendente a tutela dei diritti umani e di un piano d’azione nazionale sui diritti della comunità LGBTI, il passaggio di provvedimenti in grado di riconoscere la genitorialità delle coppie dello stesso sesso da un lato e la pericolosità dell’omotransfobia dall’altro e la realizzazione di campagne e progetti per la promozione delle pari opportunità.


Inoltre, si consideravano le difficili condizioni in cui si trovano costretti a vivere rom e sinti, l’inadeguatezza dei luoghi di accoglienza per le donne che fuggono da violenze e le disastrose condizioni delle sovraffollate carceri italiani (altro tema ben caro a StraLi).

Insomma, non s’era fatta una gran figura: Italia rimandata in due materie ed esortata a fare di più, e meglio, e in fretta.


Ora, per quanto riguarda la risposta del governo italiano quel che sappiamo, ad oggi, è che il 30 marzo approderà in aula alla Camera la proposta di legge contro l’omotransfobia, e che di recente è stato approntato il pacchetto di provvedimenti che dovrebbe intervenire sulla questione migranti, regolarizzando i numerosi lavoratori irregolari e modificando i decreti sicurezza quantomeno adeguandoli ai richiami che sono stati fatti dal presidente Mattarella.


Per il resto, si vedrà presto in quel di Ginevra se e in che misura le nostre autorità abbiano rispettato le raccomandazioni: nel corso delle prossime settimane l’Italia dovrà esporre al Consiglio in quale modo sta provvedendo a migliorare la vita dei propri cittadini e cittadine, di coloro che vorrebbero esserlo e di chi si trova in transito.


“Io speriamo che me la cavo”, diceva un tale.

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