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I QUESITI DEL REFERENDUM DEL 12 GIUGNO 2022


Come forse saprete il 12 giugno, oltre a votare in alcuni comuni per le amministrative, si andrà alle urne per votare cinque quesiti referendari proposti dalla Lega e dai Radicali e che hanno superato il vaglio della Corte Costituzionale.


Cerchiamo di fare chiarezza quesito per quesito perché le materie coinvolgono temi molto diversi e altrettanto tecnici.




Quesito 1)

Volete voi che sia abrogato il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n.190)?


Il quesito mira ad abrogare in toto le disposizioni della legge c.d. “Severino” che nel 2012 aveva previsto, in particolare, la “incandidabilità” e il “divieto di ricoprire cariche elettive e di governo” per i soggetti che hanno riportato una sentenza definitiva a una pena superiore a due anni per delitti gravi di mafia e terrorismo o superiore a due anni per delitti commessi da pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione o a una pena per reati per cui è prevista la reclusione non inferiore ai quattro anni.


Va detto che tale incandidabilità non è eterna: perdura infatti fino a che non viene pronunciata sentenza di riabilitazione, rientrando così il soggetto nel pieno diritto elettorale passivo.


Tale testo di legge era stato introdotto dal governo nel 2012 su delega del Parlamento e ha in più occasioni superato il vaglio della Corte Costituzionale (sentenze del 2015 e 2016 in relazione a denunciata violazione dell’art. 3 Cost in relazione alla disparità di trattamento tra candidati alle elezioni nazionali ed amministratori locali, eccesso di delega e irretroattività della norma) e della CEDU (nel 2021 con duplice sentenza in merito alla denunciata irretroattività della norma).


I due articoli più problematici sono l’8 e l’11, che prevedono la sospensione (nei casi di incandidabilità) degli amministratori locali nel caso in cui abbiano riportato anche solo una condanna non definitiva. Sospensione che cessa solo nel caso in cui poi vengano assolti nel successivo grado di giudizio. Tale norma è stata fortemente criticata, non solo dai promotori del referendum. Molti auspicano che il Parlamento si esprima su questo singolo aspetto ritenuto realmente problematico.


In ogni caso, votando “sì” di fatto si ristabilisce la situazione ante tale legge, essendo colpita dal referendum la legge delega al governo. Non sarà più prevista dunque ex lege l’incandidabilità e la decadenza dalle cariche elettive.


Il quesito, pur avendo superato il vaglio della Consulta, appare forse troppo ampio. Sarebbe dunque auspicabile che la legge Severino al più venga ridiscussa nelle aule parlamentari, se del caso eliminando solamente alcune parti di essa.


Quesito 2)

Volete voi che sia abrogato il decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n.447 (Approvazione del codice di procedura penale) risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art.274, comma 1, lettera c), limitatamente alle parole: "o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all'art.7 della legge 2 maggio 1974, n.195 e successive modificazioni."?


Il quesito investe una particolare norma del codice di procedura penale, che disciplina i motivi (le “esigenze cautelari”) che il giudice deve valutare al fine di poter applicare una misura cautelare all’imputato (sono misure che intervengono prima dell’accertamento con sentenza definitiva e hanno lo scopo di eliminare un particolare pericolo disciplinato dal codice).


Il codice di procedura penale prevede infatti che, oltre a sussistere gravi indizi di commissione di un illecito penale, al fine di applicare una misura cautelare deve verificarsi almeno una delle tre esigenze di cautela che il codice elenca in maniera tassativa: a) il pericolo che l’imputato inquini le fonti di prova (es: contatti i testimoni, distrugga documenti rilevanti per le indagini, etc.); b) il pericolo di fuga dell’imputato, che si sottrae così al giudizio; c) il pericolo di commissione di ulteriori “gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata” o il pericolo di commissione di “delitti della stessa specie di quello per cui si procede” se trattasi di delitti con pena massima superiore a 4 anni (per applicare una misura cautelare diversa dal carcere) o cinque anni (per il carcere) o in ogni caso per il delitto di finanziamento illecito ai partiti.


Il referendum mira ad abrogare questa ultima previsione della lettera c) e quindi vuole abolire la possibilità di applicare una misura cautelare allorché ci sia il solo pericolo di commissione di reati della stessa specie rispetto a quello per cui si procede (va detto che è l’esigenza di cautela più richiamata dai giudici nelle ordinanze di applicazione delle misure cautelari).


Per esemplificare: se ora, per poter applicare la custodia in carcere ad un soggetto che ha commesso una rapina, per il giudice è sufficiente argomentare (in merito alle esigenze cautelari) circa il pericolo che, se il soggetto fosse rimesso in libertà, potrebbe commettere un’altra rapina, nel caso passasse la riforma il giudice non potrà più applicare la custodia in carcere basandosi su questa motivazione. Dovrà infatti basarsi su gli altri criteri indicati dal codice, quali la sussistenza del pericolo di inquinamento probatorio o di fuga o di commissione dei gravi reati sopra indicati.


Questa norma negli ultimi anni è stata investita da numerose riforme, al fine di circoscrivere il più possibile l’applicazione delle misure cautelari, che effettivamente nel nostro sistema penale sono molto e forse troppo utilizzate (i detenuti in attesa di processo in Italia sono circa un terzo della popolazione carceraria, siamo uno dei primi Paesi in questa speciale e non meritevole classifica).


In particolare, già una riforma del 2015 aveva previsto l’obbligo per il giudice di motivare su “concretezza” ed “attualità” del pericolo sotteso all’esigenza di cautela per la quale si ritiene di dover applicare la misura cautelare.


Alcuni hanno sottolineato che il quesito, seppur animato dal corretto obiettivo di “sfoltire” la popolazione detenuta in fase cautelare, così come impostato, se accolto, potrebbe causare alcune storture impedendo di applicare una misura cautelare in numero davvero notevole di casi. Posto che è l’esigenza di cautela ad ora maggiormente richiamata dai giudici, questo impedimento sorgerebbe anche in casi in cui vi sarebbe un concreto ed attuale pericolo di commissione di reati da parte dell’imputato.

Quesito 3)

Volete voi che siano abrogati: l'"Ordinamento giudiziario" approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art.192, comma 6, limitatamente alle parole: ", salvo che per tale passaggio esista il parere favorevole del Consiglio superiore della magistratura"; la legge 4 gennaio 1963, n.1 (Disposizioni per l'aumento degli organici della Magistratura e per le promozioni), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art.18, comma 3: "La Commissione di scrutinio dichiara, per ciascun magistrato scrutinato, se e' idoneo a funzioni direttive, se è idoneo alle funzioni giudicanti o alle requirenti o ad entrambe, ovvero alle une a preferenza delle altre"; il decreto legislativo 30 gennaio 2006, n.26, recante «Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati, a norma dell'art. 1, comma 1, lettera b), della legge 25 luglio 2005, n.150», nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art.23, comma 1, limitatamente alle parole: "nonché per il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa"; il decreto legislativo 5 aprile 2006, n.160, recante "Nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell'art. 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n.150", nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, in particolare dall'art.2, comma 4 della legge 30 luglio 2007, n.111 e dall'art.3-bis, comma 4, lettera b) del decreto-legge 29 dicembre 2009, n.193, convertito, con modificazioni, in legge 22 febbraio 2010, n.24, limitatamente alle seguenti parti: art.11, comma 2, limitatamente alle parole: "riferita a periodi in cui il magistrato ha svolto funzioni giudicanti o requirenti"; art.13, riguardo alla rubrica del medesimo, limitatamente alle parole: "e passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa"; art.13, comma 1, limitatamente alle parole: "il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti,"; art.13, comma 3: "3. Il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, non è consentito all'interno dello stesso distretto, né all'interno di altri distretti della stessa regione, né con riferimento al capoluogo del distretto di corte di appello determinato ai sensi dell'art.11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all'atto del mutamento di funzioni. Il passaggio di cui al presente comma può essere richiesto dall'interessato, per non più di quattro volte nell'arco dell'intera carriera, dopo aver svolto almeno cinque anni di servizio continuativo nella funzione esercitata ed è disposto a seguito di procedura concorsuale, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale, e subordinatamente ad un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Consiglio superiore della magistratura previo parere del consiglio giudiziario. Per tale giudizio di idoneità il consiglio giudiziario deve acquisire le osservazioni del presidente della corte di appello o del procuratore generale presso la medesima corte a seconda che il magistrato eserciti funzioni giudicanti o requirenti. Il presidente della corte di appello o il procuratore generale presso la stessa corte, oltre agli elementi forniti dal capo dell'ufficio, possono acquisire anche le osservazioni del presidente del consiglio dell'ordine degli avvocati e devono indicare gli elementi di fatto sulla base dei quali hanno espresso la valutazione di idoneità. Per il passaggio dalle funzioni giudicanti di legittimità alle funzioni requirenti di legittimità, e viceversa, le disposizioni del secondo e terzo periodo si applicano sostituendo al consiglio giudiziario il Consiglio direttivo della Corte di cassazione, nonché sostituendo al presidente della corte d'appello e al procuratore generale presso la medesima, rispettivamente, il primo presidente della Corte di cassazione e il procuratore generale presso la medesima."; art.13, comma 4: "4. Ferme restando tutte le procedure previste dal comma 3, il solo divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, all'interno dello stesso distretto, all'interno di altri distretti della stessa regione e con riferimento al capoluogo del distretto di corte d'appello determinato ai sensi dell'art. 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all'atto del mutamento di funzioni, non si applica nel caso in cui il magistrato che chiede il passaggio a funzioni requirenti abbia svolto negli ultimi cinque anni funzioni esclusivamente civili o del lavoro ovvero nel caso in cui il magistrato chieda il passaggio da funzioni requirenti a funzioni giudicanti civili o del lavoro in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, ove vi siano posti vacanti, in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro. Nel primo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura civile o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. Nel secondo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura penale o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. In tutti i predetti casi il tramutamento di funzioni può realizzarsi soltanto in un diverso circondario ed in una diversa provincia rispetto a quelli di provenienza. Il tramutamento di secondo grado può avvenire soltanto in un diverso distretto rispetto a quello di provenienza. La destinazione alle funzioni giudicanti civili o del lavoro del magistrato che abbia esercitato funzioni requirenti deve essere espressamente indicata nella vacanza pubblicata dal Consiglio superiore della magistratura e nel relativo provvedimento di trasferimento."; art.13, comma 5: "5. Per il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, l'anzianità di servizio è valutata unitamente alle attitudini specifiche desunte dalle valutazioni di professionalità periodiche."; art.13, comma 6: "6. Le limitazioni di cui al comma 3 non operano per il conferimento delle funzioni di legittimità di cui all'art.10, commi 15 e 16, nonché, limitatamente a quelle relative alla sede di destinazione, anche per le funzioni di legittimità di cui ai commi 6 e 14 dello stesso art.10, che comportino il mutamento da giudicante a requirente e viceversa."; il decreto-legge 29 dicembre 2009, n.193, convertito, con modificazioni, in legge 22 febbraio 2010, n.24 (Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art.3, comma 1, limitatamente alle parole: "Il trasferimento d'ufficio dei magistrati di cui al primo periodo del presente comma può essere disposto anche in deroga al divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti e viceversa, previsto dall'art.13, commi 3 e 4, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n.160."?


Come si nota dall’estrema lunghezza del quesito l’effetto del referendum intende intervenire su plurime disposizioni di legge che regolano e disciplinano l’accesso alle funzioni della magistratura.


Secondo la disciplina attuale nella magistratura vi sono due figure: quelle giudicanti (giudici) e quelle inquirenti (pubblici ministeri, P.M.). Ad entrambe le funzioni si accede mediante il medesimo concorso e coloro che lo superano poi possono “passare” da una funzione ad un’altra per un massimo di quattro volte, secondo particolari requisiti di tempo e di luogo.


Il nucleo centrale del quesito referendario riguarda in particolare le norme che regolano il passaggio da una funzione all’altra.


Per effetto del “sì” al referendum, in particolare, una volta passato il concorso il magistrato dovrebbe scegliere una funzione di PM o di giudice non più modificabile nel corso della carriera.


Tale quesito è oggetto di un acceso dibattito. Sintetizzeremo quindi gli argomenti a favore (voto sì) e quelli contro (voto no).


Pro, “si: evitare che i magistrati svolgano tutte e due le funzioni di giudice e P.M. garantisce una maggiore imparzialità del giudice: poiché il PM è una parte del processo penale, evitare che lo stesso negli anni precedenti abbia svolto la funzione giudicante garantisce maggiore imparzialità dello stesso giudice nel valutare gli argomenti delle parti.


Contro, “no: la separazione delle funzioni potrebbe minare l’imparzialità dell’organo inquirente (in Italia il PM secondo il codice di procedura deve ricercare anche le prove favorevoli all’indagato), di fatto limitando lo sviluppo e il mantenimento della “cultura della giurisdizione” e creando una sorta di ufficio separato. Si è anche sostenuto che il passaggio da una funzione all’altra rivesta notevole importanza dal punto di vista “formativo” per i magistrati, che così possono comprendere al meglio il funzionamento della magistratura in generale. Alcuni hanno anche rilevato che l’abrogazione in toto della separazione delle funzioni potrebbe avere dei risvolti in tema di tenuta costituzionale del complesso delle norme risultanti dalla riforma, rappresentando le norme oggetto del quesito referendario la diretta applicazione del disposto costituzionale. Su questo aspetto va detto però che il quesito è stato vagliato positivamente dalla Corte Costituzionale.


Quesito 4)

Volete voi che sia abrogato il decreto legislativo 27 gennaio 2006, n.25, recante «Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei consigli giudiziari, a norma dell'art.1, comma 1, lettera c) della legge 25 luglio 2005, n.150», risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art.8, comma 1, limitatamente alle parole "esclusivamente" e "relative all'esercizio delle competenze di cui all'art.7, comma 1, lettera a)"; art.16, comma 1, limitatamente alle parole: "esclusivamente" e "relative all'esercizio delle competenze di cui all'art.15, comma 1, lettere a), d) ed e)"?


Per comprendere tale quesito, non altrimenti intellegibile, occorre sottolineare che il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM - l' organo di autogoverno della magistratura) ha fra le sue funzioni quello di controllare e dare una valutazione (anche in termini di sanzioni) all’operato dei magistrati sulla base delle valutazioni che arrivano dai “consigli giudiziari”, che sono organi ausiliari composti da cariche appartenenti alla magistratura e "laici" (docenti universitari e avvocati) sparsi nei territori. Ad oggi la valutazione della professionalità e della competenza dei magistrati è rimessa solo ai magistrati e non ai componenti esterni alla magistratura, i c.d. "membri laici".


Il referendum mira ad attribuire la competenza sulla valutazione a quest'ultimi.


Votando “sì” al quesito si introduce dunque tale possibilità di valutazione.


Anche su tale quesito molto tecnico e di opportunità giudiziaria ci sono ragioni pro e contro che ci limitiamo ad esporre qui di seguito.


PRO “si”: l’estensione della valutazione sull’operato della magistratura anche ad avvocati e docenti, oltre a dare un maggior significato alla loro presenza nell’ambito dei consigli giudiziari, garantisce maggiore permeabilità alla critica dell’operato dei magistrati. Secondo tale argomentare la giurisdizione e il suo corretto esercizio deve essere oggetto di critica e valutazione anche da parte di quei soggetti che partecipano e conoscono le problematiche della giustizia.


CONTRO “no”: aprire alla valutazione di soggetti, in particolare per quanto riguarda gli avvocati, che potrebbero essere parti passate presenti o future avanti al magistrato soggetto alla valutazione potrebbe costituire un problema concreto di parzialità di chi valuta ed esporre il magistrato a possibili condizionamenti.


Anche in questo caso, però, il semplice quesito referendario senza un intervento normativo appare “monco”, in quanto se passasse il “sì”, secondo alcuni, rimarrebbe da ridisciplinare, rendendola elettiva, la nomina dei membri non togati (oggi avviene su indicazione dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati del distretto) e, magari, prescrivere in maniera maggiormente dettagliata gli obblighi di astensione dei membri laici, così ovviando alle critiche pure ragionevoli dei fautori del “no”.


Quesito 5)

Volete voi che sia abrogata la legge 24 marzo 1958, n.195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art.25, comma 3, limitatamente alle parole "unitamente ad una lista di magistrati presentatori non inferiore a venticinque e non superiore a cinquanta. I magistrati presentatori non possono presentare più di una candidatura in ciascuno dei collegi di cui al comma 2 dell'art.23, né possono candidarsi a loro volta"?


Il quesito incide nuovamente sull’organo di autogoverno della magistratura il CSM di cui abbiamo brevemente parlato in relazione al quesito 4).


Per quanto interessa il presente quesito va detto che tale organo, oggetto di numerosissime polemiche negli ultimi tempi, è composto, oltre che dal Presidente della Repubblica che lo presiede, dal primo presidente della Corte di cassazione e dal Procuratore generale della Corte costituzionale e da membri elettivi, per due terzi eletti da tutti i magistrati di ogni ordine e grado e per un terzo eletti dal Parlamento riunito in seduta comune.


Il referendum mira a cambiare il sistema di elezione della maggioranza di due terzi eletti dalla magistratura.


Al momento in effetti un magistrato, per essere eletto nel CSM, deve presentare, oltre alla propria candidatura, una lista composta da 25 a 50 firme. Il referendum mira ad abolire tale necessità, così consentendo candidature anche singole.


Si esporranno di seguito in maniera ragionata alcuni argomenti in relazione a tale proposta referendaria, sempre con l’obiettivo di fornire un aiuto nella scelta rispetto a tale quesito.


Lo stato attuale dell’elezione dei componenti della magistratura nel CSM tramite la presentazione di candidature accompagnata da liste si è detto che determina il formarsi di “correnti” sostenute dai “partiti” della magistratura, così impendendo che un singolo soggetto possa presentare la propria candidatura senza il supporto delle correnti. In tal modo sarebbe limitata la candidabilità di magistrati molto rispettati sul territorio, ma privi di legami con le “correnti”.


Va detto però, per citare alcune ragioni per il no, che allo stato attuale non è detto che un soggetto candidato non inserito in alcuna corrente sia effettivamente limitato nella presentazione della propria candidatura, anzi: in passato sono state plurime le candidature di soggetti non appartenenti ad alcuna corrente. D’altra parte se l’obiettivo è quello di eliminare il potere delle correnti il referendum dovrebbe, anche in questo caso, essere accompagnato da una complessiva riforma del sistema elettivo del CSM, non incidendo esclusivamente sull’individuazione dei candidati, ma altresì sull’elezione degli stessi, momento nel quale il peso delle correnti torna ad essere comunque rilevante.

Alcune informazioni utili per il voto:

Per la validità della consultazione referendaria popolare è necessario che si rechino alle urne metà delle persone aventi diritto al voto più uno. Questo è quanto stabilisce l'articolo 75, IV comma della Costituzione che testualmente recita: "La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi."


Se dunque non si recherà alle urne (a prescindere dalla validità del voto poi espresso) il 50% più uno delle persone aventi diritto il referendum non sarà ritenuto valido e non passeranno i quesiti.


Si può ovviamente esprimere per ogni quesito una diversa preferenza per il sì o per il no ed anche annullare la scheda, ma in questo caso il voto, pur nullo, sarà valido ai fini della costituzione del quorum.


Rimane ambiguo e non disciplinato il caso in cui l’elettore si presenti al seggio e non voglia ritirare una o alcuna delle schede relative ad alcuni quesiti ai quali non si intende esprimere una preferenza (così non formando il quorum su quel singolo quesito). Non pare essere oggetto di specifica disciplina questo caso e quindi di per sé da considerarsi un atto consentito che dovrà essere comunque oggetto di verbalizzazione da parte del presidente del seggio (alcune prefetture in questo caso hanno suggerito di chiedere proprio la verbalizzazione del mancato ritiro di una scheda).




A cura di Emanuele Ficara

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