L'ESTERNALIZZAZIONE DELLE FRONTIERE E VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI DELLE PERSONE RICHIEDENTI ASILO
Secondo l’Articolo 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948), “[o]gni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni.”
In base al dettato dell’Articolo 1 (2), Convenzione di Ginevra (1951), lo status di persona rifugiata viene garantito alla persona che si trova nel “nel giustificato timore d’essere perseguitata per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi.”.
L’Articolo 4, Protocollo n. 4 alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (1963) afferma chiaramente che “[l]e espulsioni collettive di stranieri sono vietate.”.
In occasione della giornata mondiale della persona rifugiata, vogliamo richiamare il principio fondamentale del diritto di asilo e i principi correlati di cui il diritto internazionale dei diritti umani si fa portatore. Ma vogliamo anche trattare una questione che si pone in violazione sistematica di questi principi: l’esternalizzazione delle frontiere e la normalizzazione delle espulsioni collettive di persone che a malapena possono render nota la loro volontà di richiedere asilo nel Paese in cui arrivano.
Benchè l’UE e i suoi Stati Membri non siano privi di responsabilità per le summenzionate violazioni, è particolarmente sconcertante (nonchè discusso e contestato dai diversi attori internazionali e non) la recente “partnership” conclusa dal Regno Unito e dal Ruanda lo scorso 13 aprile circa la gestione di coloro che “arrivano illegalmente nel territorio britannico” – il c.d. Asylum Partnership Agreement (APA).
L'APA è un memorandum d'intesa (in inglese Memorandum of Understanding o MoU) che prevede il trasferimento forzato verso il Ruanda delle persone che arrivano irregolarmente nel Regno Unito, a seguito del quale, il primo si assumererebbe la responsabilità sia della procedura di asilo sia della successiva protezione di coloro che risultano rientrare nella categoria di rifugiati. Il Ruanda, poi, si dovrebbe anche assumere la responsabilità di rimpatriare le persone che, secondo il loro assessment, non necessiterebbero di protezione internazionale. Il MoU ha una durata di 5 anni, con possibilità di rinnovo, e prevede il reinsediamento di un numero imprecisato di richiedenti asilo dal Ruanda al Regno Unito. Tra l’altro, questo accordo ha anche effetto retroattivo, applicandosi a tutte le persone entrate “illegalmente” nel territorio britannico a partire dal 1 gennaio 2022. Proprio per le sue particolarità, ossia spostare la responsabilità dell’asilo dagli Stati di destinazione, nel caso di specie Regno Unito, ai Paesi in via di sviluppo, cioè il Ruanda; e teoricamente fungere da deterrente per la c.d. “immigrazione clandestina”, il MoU rientra nella pratica, ampiamente utilizzata dai Paesi europei, di esternalizzazione delle frontiere.
Il Ruanda, però, non ha accettato di far parte dell’accordo per una presunta solidarietà verso queste persone, che sono alla disperata ricerca di una vita dignitosa, ma a seguito della promessa di ricezione di circa €150,000. Il Premier britannico Boris Johnson ha anche tentato (invano) di proporre l’APA come “un investimento” che il Regno Unito ha deciso di fare per sostenere “lo sviluppo economico e la crescita del Ruanda”.
Le basi di questo accordo (che cela, per nulla velatamente, una c.d. “double agenda” del Governo britannico) si fonda sulla considerazione che il Ruanda sia “paese terzo sicuro”. Peccato che, come riportato da Amnesty International e Human Rights Watch (HRW) – tra gli altri –, il Ruanda nel solo 2021 non sia stato caratterizzato da un ampio rispetto dei diritti umani; anzi! Il partito politico al potere ha continuato a soffocare le voci dissenzienti; lo spazio per l'opposizione politica, la società civile e i media è rimasto serrato; e diverse persone facenti parte dell’opposizione sono scomparse, arrestate o minacciate. La detenzione arbitraria, i maltrattamenti e la tortura nelle strutture di detenzione ufficiali e non ufficiali sono all’ordine del giorno e gli standard di un processo equo vengono abitualmente violati. Inoltre, HRW ha anche documentato che il Ruanda presenta precedenti di uso eccessivo della forza (fino all’uccisione) di persone rifugiate di nazionalità congolese, tra gli altri. Ma non solo: è stato proprio il Regno Unito che solo lo scorso anno ha espresso preoccupazioni circa le violazioni di diritti umani nel Paese, tra cui le continue restrizioni ai diritti civili e politici – e ciò nonostante, lo considera Paese sicuro per le persone richiedenti asilo! Non solo, quindi, si dubita che il Ruanda possa essere effettivamente considerato “Paese terzo sicuro”, ma se sia poi effettivamente in grado di proteggere le garanzie contenute nella Convenzione sui Rifugiati, oltre ai diritti civili, politici, economici e sociali delle persone a cui eventualmente venga garantita protezione internazionale.
Tutto ciò, come è ovvio, si pone in violazione di una serie di strumenti di diritto internazionale che vincolano (o dovrebbero vincolare) il Regno Unito, prima fra tutti la c.d. Convenzione di Ginevra del 1951 che regola la disciplina circa il riconoscimento dello status di rifugiato. Come anticipato, il MoU si applica solo alle persone “le cui richieste non sono state prese in considerazione dal Regno Unito”, essendo state dichiarate inammissibili a causa del loro ingresso irregolare nel Regno Unito. Tuttavia, l’Articolo 31 (1) della Convenzione esenta le persone richiedenti lo status di rifugiato dalla penalizzazione per ingresso irregolare, riconoscendo, così, esplicitamente che la maggior parte di esse non abbia altra scelta che viaggiare in modo irregolare. Trattare la richiesta di asilo di una persona che entra irregolarmente come inammissibile costituisce dunque una sanzione contraria alla Convenzione.
Inoltre, il MoU si porrebbe in violazione del principio di non-refoulement, esplicitato nell’Articolo 33 della Convenzione di Ginevra e Articolo 3 (1) della Convenzione contro la Tortura: sebbene l'accordo stabilisca che le richieste di asilo delle persone trasferite saranno valutate in Ruanda “in linea con la Convenzione sui Rifugiati e la legislazione internazionale sui diritti umani”, il principio di non respingimento si applica non solo in relazione al Paese di origine di una persona, ma anche rispetto a un Paese terzo, come il Ruanda – che, come detto, non brilla di certo per garanzia di diritti fondamentali! (Per ulteriori violazioni di strumenti internazionali rinvenute dall’accademia, si veda qui).
Si potrebbe profilare, poi, una violazione del summenzionato Articolo 4, Protocollo n. 4 della CEDU circa il divieto di espulsioni collettive: secondo la giurisprudenza della Corte EDU, per “espulsione collettiva” si intende “qualsiasi misura che costringa persone straniere, in quanto gruppo, a lasciare il Paese, salvo che tale misura sia adottata sulla base di un esame ragionevole e oggettivo del caso specifico di ogni singolo straniero del gruppo”. E addirittura, è da sottolineare la nozione ampia con cui la Corte intenda le “espulsioni collettive”: sebbene la maggior parte dei casi portati all’attenzione della Corte fossero di individui che si trovavano già sul territorio nazionale (come avverrebbe nel caso delle persone che richiedono asilo in territorio britannico, trasferite in Ruanda), la Corte negli anni più recenti ha riscontrato la violazione dell’Articolo 4 anche quando tali respingimenti sono avvenuti in acque internazionali (si veda la sentenza storica Hirsi Jamaa e altri c. Italia, 2012), ma anche sui confini terrestri (N.D. e N.T. c. Spagna, 2020). La clausola “salvo che tale misura sia adottata sulla base di un esame ragionevole e oggettivo del caso specifico di ogni singolo straniero del gruppo”, però, che potrebbe “salvare” il Regno Unito dalla violazione sistematica della normativa in questione non viene rispettata nel caso di specie: la c.d. prima fase operativa vedrebbe le autorità britanniche coinvolte nella c.d. procedura di “pre-trasferimento”, come denominata dal MoU. Peccato che la procedura non venga descritta dalla partnership e che, comunque, come detto in precedenza, le richieste di asilo verrebbero in ogni caso ritenute inammissibili a causa dell’arrivo irregolare sul territorio britannico. A questo punto della procedura, il Regno Unito richiederebbe al Ruanda il trasferimento delle persone, che avverrebbe a seguito della sua accettazione (ovviamente solo formale – come potrebbe tirarsi indietro?). Ci sono, però, delle eccezioni a questa “procedura di trasferimento accelerato”, che si basano sugli obblighi britannici di rispettare il principio di non-refoulement e altri principi relativi ai diritti umani: il Regno Unito non può dunque trasferire persone di nazionalità ruandese che richiedono asilo; persone seriamente malate; e persone richiedenti asilo LGBTQI+, a seguito del rapporto pubblicato da UNHRC secondo cui a queste persone sarebbe regolarmente negato accesso alle procedure di asilo. E qui, di nuovo, sorgono dubbi su come il Ruanda possa essere considerate Paese terzo sicuro.
L’APA, com’è prevedibile, ha scaturito reazioni di opposizione da ogni lato: avvocat3 inglesi hanno immediatamente iniziato a presentare azioni legali per contestare il contenuto dell’accordo e la sua compatibilità con gli strumenti internazionali vincolanti per il Regno Unito; gruppi attivisti e difensori dei diritti umani hanno iniziato campagne di advocacy e lobby per il ripensamento (se non la cancellazione) della partnership; esponenti delle Commissione Europea hanno condannato l’accordo (non che questo li esimi dalle responsabilità circa la gestione UE del flusso migratorio!); e l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, ha descritto l’accordo come “all wrong” – tutto sbagliato.
Il primo volo per il Ruanda sarebbe dovuto partire lo scorso 14 giugno 2022. Sarebbe, perchè è su questa base che si inserisce la recentissima decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo che si è pronunciata tramite l’imposizione di interim measures (misure urgenti che, ai sensi della Regola 39 del Regolamento della Corte vengono adottate dalla Corte EDU in presenza di un rischio imminente di danno irreparabile – prima ancora che vi sia una decisione nel merito della questione). Lo stesso 14 giugno la Corte EDU, nel caso K.N. c. Regno Unito di un cittadino iracheno che aveva richiesto asilo il precedente 17 maggio 2022 – richiesta che era stata considerata inammissibile dalle autorità britanniche (poichè entrato illegalmente nel territorio nazionale), nonostante un medico avesse certificato la possibilità che il richiedente abbia subito torture. Il 6 giugno gli era stata notificata l’inammissibilità della sua richiesta e un ordine di allontanamento verso il Ruanda. La Corte EDU, nell’esaminare la richiesta di interim measure, alla luce del rischio reale di subire un trattamento contrario ai suoi diritti umani, e in “assenza di qualsiasi meccanismo legalmente applicabile” per garantire il suo ritorno nel Regno Unito in caso di esito positivo del ricorso giudiziario, ha deciso “nell’interesse delle parti e del corretto svolgimento del procedimento dinanzi ad esse, di indicare al governo del Regno Unito […] che il ricorrente non debba essere allontanato fino alla scadenza di un periodo di tre settimane dalla pronuncia della decisione definitiva nel procedimento di controllo giurisdizionale in corso”, così bloccando in extremis il volo che sarebbe partito da li a poco. Durante lo stesso giorno, ulteriori richieste di interim measures sono state presentate alla Corte, due delle quali sono state accolte (nei casi R.M. c. Regno Unito e H.N. c. Regno Unito), ammettendo che l’allontanamento possa avvenire dopo il 20 giugno, affinchè le richieste di asilo siano considerate dalle autorità “in modo più dettagliato” (questo anche a dimostrazione del fatto che, quindi, la presunta procedura di “pre-trasferimento” sia condotta sommariamente e solo formalmente).
Questo ha, per il momento, bloccato il primo volo diretto verso il Ruanda, ma non sappiamo cosa ci riserverà il futuro. Quello che è certo è che il mondo legale e dell’attivismo continuerà a battersi per far sì che questo accordo e la conseguente violazione sistematica del diritto internazionale e dei diritti umani venga meno. E sicuramente noi di StraLi continueremo a fare la nostra parte affinchè tutti, soprattutto i più vulnerabili, si vedano riconosciuti i propri diritti!
A cura di Serena Zanirato
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