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LA TORTUOSA VIA VERSO LA PROTEZIONE SPECIALE


Sono passati ormai quasi due anni dalla modifica dei c.d. "Decreti Sicurezza" operata dal governo ‘Conte 2’, eppure ancora molte delle misure previste restano fumose e mal applicate.

Tra le varie modifiche apportate dal Decreto 130/2020, la più nota è stata certamente quella che ha visto l’introduzione della protezione speciale, un istituto che andava a ricalcare la vecchia protezione umanitaria che il decreto Salvini aveva cancellato.



Ad oggi, dunque, quando un rimpatrio o un’espulsione rischiano di comportare una violazione degli obblighi costituzionali o internazionali, oppure del diritto alla vita privata e familiare, o, ancora, quando si rischierebbe di esporre le persone migranti a violazioni dei diritti umani (e in alcuni altri casi che, per brevità, non andremo ad approfondire) può essere rilasciato un permesso di soggiorno per protezione speciale.

Si tratta, peraltro, di uno dei pochissimi permessi del nostro ordinamento che può essere richiesto anche da una persona che già si trova irregolarmente sul territorio nazionale e costituisce quindi un’importante risorsa per coloro che, per vari motivi, non hanno un titolo di soggiorno.


Ci sono due vie per ottenere la protezione speciale; la prima è chiedere asilo: seguendo il classico iter della protezione internazionale, infatti, è possibile, all’esito, che la Commissione o il Tribunale decidano, pur non vedendo i presupposti per lo status di persona rifugiata o per la protezione sussidiaria, di rilasciare la protezione speciale (esattamente come succedeva un tempo con il permesso per motivi umanitari).

La seconda consiste, invece, nel rivolgere un’istanza direttamente alla Questura: ed è qui che nascono i drammi.

Infatti, mentre l’iter della domanda di protezione internazionale è ormai ampiamente disciplinato, dalle leggi e dalla giurisprudenza, quando invece si chiede protezione direttamente al Questore la procedura da seguire, le tempistiche, i documenti necessari e le garanzie personali delle persone richiedenti sono tutt’oggi un mistero.


Ogni Questura ha la sua versione, ogni Questura ha la sua prassi.


A Torino, ad esempio, non si riesce a fare domanda di protezione speciale se non si possiede un documento di riconoscimento (passaporto o altro permesso di soggiorno), oppure se manca una dichiarazione di ospitalità o una residenza anagrafica: nessuna norma subordina la validità della domanda a questi documenti ma, d’altronde, nessuna norma ci dice neppure se ci siano dei documenti necessari in queste procedure. Non lo dice nemmeno il sito della Questura, sebbene poi ogni giorno vengano rifiutate moltissime domande sulla base di queste richieste.


C’è di più: da alcuni mesi la Questura di Torino ha deciso di non ricevere le domande di protezione speciale in mancanza di una memoria scritta da un avvocato o avvocata.

Al di là del fatto che, come sopra, è una decisione del tutto arbitraria e non prevista da nessuna normativa, è particolarmente grave considerato che questo tipo di attività legale non è coperta dal Patrocinio a spese dello Stato: subordinare la presentazione delle domande a questa memoria equivale a limitare l’accesso soltanto a coloro che hanno i mezzi sufficienti per pagare una figura professionista, oppure pretendere che gli avvocati e le avvocate di Torino lavorino gratis.


Naturalmente, quando scriviamo che la Questura rifiuta di ricevere le domande, ci riferiamo a rifiuti verbali, non a rigetti scritti, motivati e impugnabili in Tribunale. Se l’agente di polizia all’ingresso non vede tra i documenti in mano alla persona richiedente la memoria, la dichiarazione di ospitalità o qualsiasi altra cosa quel giorno abbiano deciso di ritenere un documento necessario, semplicemente impedirà a essa di entrare nell’Ufficio Immigrazione e di presentare la sua domanda.


Un altro elemento su cui il silenzio della legge è assordante riguarda il diritto ad avere un permesso provvisorio in attesa che la procedura si definisca.

Infatti, chi cerca di ottenere la protezione speciale attraverso il canale dell’asilo, ottiene un permesso di soggiorno provvisorio sin dalla prima domanda. Se poi la Commissione Territoriale (prima autorità che vaglia la richiesta) dovesse rigettare l’istanza, la persona richiedente potrebbe impugnare la decisione davanti al Tribunale e, anche se nell’impugnazione chiedesse esclusivamente il riconoscimento della protezione speciale, si vedrebbe riconosciuto un permesso.


Per ragioni sconosciute, così non è per chi chiede la stessa protezione direttamente alla Questura: non solo questi non si vedono riconosciuto alcun tipo di permesso in attesa della decisione questorile, ma anche nel caso in cui dovesse impugnare un diniego davanti al Tribunale non vedranno per anni alcun titolo che regolarizzi la loro posizione.

La cosa incredibile è che la Questura di Torino insiste nel non rilasciare questi permessi provvisori anche nel caso in cui il Tribunale ordini esplicitamente la sospensione degli effetti del provvedimento con cui il Questore ha negato la protezione, riconoscendo la sussistenza di particolari ragioni che giustificano la presenza della persona richiedente sul territorio italiano fino alla decisione.

In altre parole, il Tribunale si esprime dicendo che il provvedimento questorile deve ritenersi sospeso e che, fino alla fine della procedura, la persona ha il diritto di vivere in Italia e di non essere espulsa. La Questura ritiene che ciò comporti soltanto l’inespellibilità e non il rilascio di un permesso di soggiorno: ma senza permesso, i soggetti in questione non possono lavorare, affittare una casa, accedere pienamente al servizio sanitario nazionale per anni, fino a quando il Tribunale non si esprimerà definitivamente sulla causa.

Al di là della disparità di trattamento con chi richiede la stessa protezione nell’ambito del sistema asilo, è evidente che negare un permesso di soggiorno a chi ha il diritto di stare sul territorio nazionale è una violazione dei suoi diritti.


Alcuni tribunali italiani si sono già pronunciati su questo tema (ad esempio Roma e Bologna), ordinando alle Questure di rilasciare i permessi di soggiorno provvisori anche a chi abbia chiesto la protezione speciale direttamente al Questore.

Pur credendo nel grande ruolo che la Giurisprudenza può giocare nel colmare le lacune normative, è essenziale che si intervenga a livello legislativo quanto prima per integrare le norme previste e consentire che i diritti delle persone migranti siano garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale.



A cura di Elena Garelli

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