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LA VERITÀ, VI SPIEGHIAMO, SULLA PRESCRIZIONE

Oggi parliamo di diritto penale. Ma anche di persone, di attese infinite e di Josef K.

Uno dei tormentoni di questo denso 2019 - nel mondo dei penalisti ma non solo - è stata “la riforma della prescrizione”, cavallo di battaglia delle forze politiche più votate dagli italiani.

Cercando di rimanere il più imparziali possibile nei confronti della riforma di cui sopra, proviamo a capirci qualcosa, per punti.


1. Che cos’è la prescrizione

Il nostro codice penale prevede che, dal momento in cui viene commesso un reato, decorra un termine entro il quale lo Stato deve: fare le indagini, iniziare il processo, arrivare a una sentenza definitiva (siate buoni, passateci un minimo di semplificazione).

È come un piccolo timer che si aziona al momento della fine dell’azione criminosa – tic tac tic tac – e allo scadere del termine della prescrizione “driiiiiin! Stop al televoto”. Il televoto è il processo, ça va sans dire.

“Un timer tipo quello per fare l’uovo alla coque?” Sì, ma dura come minimo sei anni, di regola sette anni e mezzo, spesso molto di più. Ad esempio, il tempo che attualmente lo Stato ha per giudicare una persona accusata di furto in abitazione aggravato è di 15 anni.

Ricapitolando: esiste un tempo definito per esercitare l’azione punitiva. Finito quello basta, non se ne parla più, quel reato è prescritto e nessuno potrà mai più venire a recriminare nulla.

Ci sarà spazio per il risarcimento dei danni in sede civile, ma quella è un’altra storia (e un’altra giurisdizione).


2. Che cosa è cambiato con Bonafede?

Il Ministro della Giustizia Bonafede ha preso una matitina e ha aggiunto una frasetta dall’aria apparentemente innocua alla norma sulla prescrizione, che ne prevede la sospensione dalla sentenza di primo grado alla data di esecutività della pronuncia. Quel timer viene quindi messo in pausa, per poi essere riattivato quando la sentenza diventa esecutiva, ossia al momento dell’ingresso in carcere (in caso di condanna, si intende). Si badi, la sentenza non diventa esecutiva finché non è definitiva, vale a dire finché non si sono esauriti tutti i gradi di giudizio.

A cosa serve riattivare il decorso della prescrizione, dunque, se il processo è finito? A nulla!

Ecco che quella matitina diventa una spugna che, diciamolo pure, spazza via la disciplina della prescrizione: sarà quindi sufficiente che lo Stato, nel giro di (come minimo) sette anni e mezzo, riesca a partorire una sentenza di primo grado. Da quel momento in poi il processo potrà durare anche vent’anni, per dire.


3. Perché questa riforma, per noi, assomiglia tanto alla corazzata Potëmkin?

Verrebbe da dire “eh bè, il reato è commesso, quel che è fatto è fatto, prima o poi una punizione arriverà, il Tizio – che chiameremo Josef K. – tanto se la merita”.

Ci sono diversi errori in questa frase, ma ci limiteremo ad analizzare il più grave: “tanto se la merita”. Già, Josef K. comunque è stato condannato. SDENG! Qui il povero asino – che chiameremo Alfonso – casca rovinosamente. La riforma parla di “sentenza di primo grado”, poco importa che sia di condanna o di assoluzione.


4. Ma io, persona per bene, francamente me ne infischio.

E male che fai. Primo, come già detto, l’ingresso nel girone infernale del processo non è riservato ai condannati, ma accoglie calorosamente anche gli assolti in primo grado. Secondo, il processo penale non coinvolge solamente l’imputato ma anche la vittima che, se si costituisce parte civile, sarebbe ben lieta di assistere alla conclusione del processo – ed eventualmente vedersi risarcita – prima di passare a miglior vita.


5. Conclusioni e auspici.

Nel diritto penale, viva Iddio, esiste il “principio di irretroattività”. Significa, in soldoni, che non posso essere punito sulla base di una legge più grave entrata in vigore dopo che ho commesso il fatto. Di conseguenza, la ‘nuova prescrizione’ si applicherà solo per i reati commessi da capodanno in poi (occhio con i botti). Ma significa anche che se per divina illuminazione – scusate le citazioni “alte”, ma sotto Natale la spiritualità dilaga – il Legislatore dovesse rinsavire e tornare sui suoi passi evitando, per esempio, che Josef K. rimanga per sempre nel girone infernale dei corridoi del Tribunale, ecco che la novellata legge, buona e bella, si applicherà anche a lui.


Questa noiosa premessa per dirvi che cosa chiediamo a Babbo Natale:

- che magicamente diventi chiaro a tutti che se tanti reati si prescrivono, il problema non è la prescrizione ma i tempi lunghi del processo. Come ha fatto puntualmente notare il Presidente delle Camere Penali, c’è gente che in 15 anni completa un ciclo di studi – dalle elementari all’università –, come è possibile che la magistratura non riesca ad accertare se Josef K. è colpevole di furto o no?

- che l’antidoto ai tempi lunghi del processo esiste: depenalizzare (l’azione penale non è la risposta a tutti i mali!); implementare l’organico (semplificando: più magistrati e più funzionari); incoraggiare l’uso del patteggiamento e del rito abbreviato (pensate che in altri Paesi europei ben più della metà dei giudizi si concludono con simili riti!)

- ed infine, che i nostri rappresentanti politici si rendano conto dell’errore commesso e facciano ammenda - better late than ever! -, cancellando con un secondo colpo di spugna l’operato di Bonafede.


Poi, caro Babbo Natale, se ti avanza tempo vorremmo anche vincere un bando plurimiliardario e poter finalmente dedicare tutto il nostro tempo a StraLi, ma di questo parleremo in separata sede.

E fai un bel regalo a chi ha capito perché Tizio si chiama Josef K.

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