LA MIGRAZIONE COME AZIONE COERCITIVA: UN ILLECITO INTERNAZIONALE?

Benché il fenomeno delle migrazioni quali azioni coercitive sia stato analizzato negli ultimi anni dal punto di vista politico e delle relazioni internazionali, questa prassi rimane ancora sconosciuta alle norme di diritto internazionale e regolamentarla è diventato ormai uno degli imperativi del nostro secolo.

Kelly M. Greenhill, professoressa di scienze politiche e relazioni internazionali, ha redatto un volume dal titolo Armi di migrazione di massa che offre il primo esame sistematico di questa politica non convenzionale. La Greenhill definisce come coercive engineered migrations (o migration-driven coercion) quei movimenti transfrontalieri di popolazione che sono deliberatamente creati o manipolati da parte di alcuni Stati per indurre concessioni politiche, militari e/o economiche da parte di uno o più Stati cosiddetti target. Nel suo scritto, la Greenhill cita ed analizza almeno sessantaquattro tentativi di migrazione forzata coercitiva verificatisi dopo l’entrata in vigore della Convenzione sui rifugiati delle Nazioni Unite del 1951. Questo fenomeno, secondo la studiosa, può essere giustificato anche dal fatto che per gli attori statali e non statali relativamente “deboli”, i quali non possono ricorrere ai metodi tradizionali di influenza, vi sono ragioni convincenti e convenienti a creare, manipolare o semplicemente sfruttare le crisi migratorie per indirizzare il comportamento degli Stati target ed ottenere benefici.

Un chiaro esempio di migrazione quale azione coercitiva risale al 2004, quando i Ministri degli Esteri degli Stati Membri dell’Unione europea (UE) si sono riuniti e hanno deciso di revocare tutte le sanzioni ancora in vigore nei confronti della Libia, un tempo Stato paria a livello internazionale. Questa vasta gamma di sanzioni era in vigore dagli anni ’80, a seguito di diversi attacchi terroristici sponsorizzati dalla Libia in Europa occidentale. Il fattore che ha catalizzato questo drastico cambiamento nella politica dell’UE è stata la promessa libica di contribuire a frenare il crescente flusso di persone migranti dal Nord Africa e di richiedenti asilo attraverso il Mediterraneo e verso il territorio europeo. In poche parole, i timori europei di una migrazione senza limiti hanno permesso al leader libico Gheddafi di impegnarsi in una forma di coercizione di successo, anche se non convenzionale, basata sullo sfruttamento intenzionale delle crisi migratorie e delle persone rifugiate.

Questo fenomeno continua a ripresentarsi anche ai giorni nostri. Basti ricordare lo scenario della crisi dei rifugiati del 2015 a partire dalla quale, in cambio del contenimento del flusso migratorio sulle isole greche, l’UE ha sostenuto con aiuti economici e incentivi non finanziari la Turchia.

Dal giugno 2021, poi, l’Unione ha dovuto fronteggiare una nuova ondata migratoria attraverso i confini con la Bielorussia, proprio all’indomani delle sanzioni impostegli dall’UE. Le autorità bielorusse hanno ‘scortato’ persone migranti verso il confine polacco, destabilizzando la situazione alle porte dell’Unione. Polonia, Lettonia e Lituania hanno dichiarato lo stato di emergenza introducendo modifiche alla propria legislazione nazionale in materia di immigrazione. Le restrizioni imposte nell’ambito dello stato di emergenza in Polonia hanno fatto sì che gli attori umanitari, le organizzazioni della società civile e gli enti d’osservazione indipendente dei diritti umani, ad eccezione dell’Ufficio del difensore civico polacco, non potessero accedere alla cosiddetta ‘zona di esclusione’ che copriva centottantatre Comuni situati in prossimità del confine con la Bielorussia. L’Alto Rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza ha definito questa strumentalizzazione dei migranti a fini politici come minaccia ibrida da parte della Bielorussia per ottenere la rimozione delle sanzioni economiche. In merito a quest’ultimo episodio, trentadue persone di cittadinanza afghana hanno sollevato ricorso innanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti della Polonia (R.A. e altri c. Polonia, No. 42120/2021), ma il caso polacco non è l’unico pendente presso tale organo giudiziario. Anche il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) sono intervenuti nel procedimento.

E ancora, negli ultimi mesi le autorità marocchine hanno rafforzato i loro interventi come guardie di frontiera per conto dell’UE. In cambio, il Marocco riceve fondi spagnoli e dell’Unione, oltre a concessioni politiche. Invero, Spagna e Marocco hanno rinnovato l’accordo di cooperazione in materia di sicurezza entrato in vigore il 30 aprile 2022. Ciò si è già tradotto in una gestione abusiva delle frontiere, con frequenti incursioni nei campi d’accoglienza e controlli più severi nei tentativi di attraversamento del confine.

Questi respingimenti dei flussi migratori stanno diventando sempre più numerosi e comportano inevitabilmente la violazione di norme di diritto internazionale dei diritti umani. In questo contesto, al fenomeno della migrazione coercitiva seguono spesso implicazioni anche nell’ambito del diritto penale internazionale. L’odierna migrazione di massa attraverso la Libia verso l’Europa ha permesso che individui già vulnerabili diventassero oggetto di crimini internazionali. A partire dal 2017, con le crescenti pressioni degli Stati europei per arginare i flussi migratori dalla Libia, gli stessi gruppi armati hanno riorientato le loro attività sul controllo della migrazione, utilizzando i centri di detenzione DCIM (Department for Combatting Illegal Migration) per impedire l’attraversamento del Mediterraneo. Gli abusi commessi contro le persone detenute tra il 2017 e il 2021 potrebbero essere qualificabili come crimini di guerra e crimini contro l’umanità secondo l’Ufficio del Procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI). StraLi, insieme alla Ong Adala for All e UpRights aveva depositato il 18 gennaio 2022 un esposto alla CPI riguardante tali crimini.

Per risolvere il problema è però necessario analizzarne la radice, ovvero le cause, individuabili in molti casi proprio nell’obiettivo politico di alcuni attori statali e non di ottenere concessioni di vario genere. Attese le varie implicazioni del fenomeno (che non mostra segni di attenuamento), è evidente la necessità di esaminarlo dal punto di vista giuridico, sia in termini di responsabilità da parte degli Stati che in termini di tutela dei diritti umani. Le questioni relative all’immigrazione clandestina e al diritto d’asilo sono diventate in molti Paesi una questione di alta politica, comportando un cambiamento nella definizione delle minacce alla sicurezza nazionale e nella pratica della politica di sicurezza. In effetti, le paure legate alla migrazione possono catalizzare risposte politiche e militari conseguenti, anche nei casi in cui la coercizione non abbia successo. Alcuni studiosi si chiedono se tali fenomeni possano costituire una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale tale da giustificare un uso legittimo della forza armata nei rapporti internazionali, applicando la nozione di guerra ibrida (anche se va ricordato che un attacco è considerato rilevante ai fini della legittima difesa solo quando gli effetti prodotti in termini di danni a persone o cose siano comparabili a quelli prodotti da un attacco armato con armi convenzionali). Gli stessi funzionari dell’UE hanno utilizzato questi termini con riferimento ai movimenti migratori. Il fenomeno in esame, quindi, solleva diversi problemi giuridici quanto alle norme applicabili. Invero, si evidenziano profili di cautela nell’adottare queste qualificazioni giuridiche poiché, per esempio, la tesi che sia in corso un attacco ibrido potrebbe essere usata per rafforzare la rappresentazione di una situazione che richieda restrizioni o deroghe ai diritti umani. In caso di conflitto armato, infatti, sono legittimati strumenti di deroga all’applicazione di tali norme internazionali.

Per concludere, nella migrazione coercitiva i costi sono inflitti attraverso la minaccia e l’uso di ‘bombe demografiche umane’ per raggiungere obiettivi politici che sarebbero del tutto irraggiungibili con mezzi militari. Peraltro, le democrazie liberali hanno più probabilità delle loro controparti illiberali di dover rispettare impegni giuridici codificati in materia di diritti umani e migrazione, di conseguenza sono più vulnerabili alle accuse di ipocrisia nel caso in cui si comportino in modo contrario a tali impegni e più soggette ad essere considerate ottimi target. Questa malformazione del potere politico delle norme di diritto internazionale dei diritti umani ed in materia di migrazione deve al più presto trovare risposta.

A cura di Nicole Valentina Zemoz

VOTARE DOVE SI VIVE È UN DIRITTO DI TUTT3

A pochi giorni da un nuovo appuntamento elettorale, ci ritroviamo a dover affrontare un grosso problema strutturale del nostro Paese, l’astensionismo involontario.

Secondo la relazione presentata ad aprile 2022 dalla Commissione istituita dal Ministro per i rapporti con il Parlamento – Federico d’Incà – (Libro bianco “per la partecipazione dei cittadini: Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto”), sono circa 4,9 milioni le persone che lavorano o studiano fuori sede e che, per difficoltà logistiche o impedimenti economici, non potranno recarsi al seggio elettorale di appartenenza.

La legge italiana, infatti, prevede che il diritto di voto vada esercitato soltanto nel Comune di residenza e stabilisce poche deroghe che permettono di votare dove si ha il domicilio (ad esempio lз militari, le forze di polizia, lз naviganti marittimз o aviatorз).

Negli altri casi, coloro che studiano o lavorano fuori sede possono unicamente usufruire di alcune agevolazioni sui costi di viaggio sostenuti per raggiungere il Comune di residenza. Tuttavia, gli sconti disponibili sono limitati solo ad alcune tratte a lunga percorrenza e a determinate compagnie aeree, che hanno prezzi di base già molto elevati. Di conseguenza, risulta impegnativo sostenere tali spese, soprattutto per giovani studenti o lavoratorз con meno di trentacinque anni.

Ma questo non è l’unico problema che la cittadinanza in mobilità si trova ad affrontare: oltre al fattore economico, molti di loro hanno impegni lavorativi o di studio che non consentono lunghi spostamenti (solo 2 milioni di aventi diritto di voto impiegano quattro ore di viaggio complessivo per tornare a casa, mentre la restante parte impiega più di dodici ore).

Ai sensi dell’art. 3, comma 2, della Costituzione, spetta allo Stato “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Occorre notare come tale impedimento sia stato rimosso, per quanto riguarda le persone residenti all’estero, dalla legge 459/2001, alle quali peraltro è concessa una quota di rappresentanza.

Ma non è tutto: l’art. 4-bis della medesima legge, consente di “votare per corrispondenza nella circoscrizione Estero, previa opzione valida per un’unica consultazione elettorale, i cittadini italiani che, per motivi di lavoro, studio o cure mediche, si trovano, per un periodo di almeno tre mesi nel quale ricade la data di svolgimento della medesima consultazione elettorale, in un Paese estero in cui non sono anagraficamente residenti. Con le stesse modalità possono votare i familiari conviventi con i cittadini di cui al primo periodo”.

Se si tratta di un diritto uguale per tutte le persone e soprattutto a parità di condizioni economiche, allora perché le persone fuori sede non possono esprimere il proprio voto senza limitazioni?

Spesso, la soluzione più agevole appare il cambio di residenza: la legge n. 35 del 2012 permette il c.d. “cambio di residenza in tempo reale”, con il quale è possibile registrare la nuova residenza entro due giorni dalla richiesta. Ciò sicuramente semplifica l’iter burocratico da seguire, ma, al contempo, causa dei grossi oneri fiscali, se pensiamo ad esempio allз studentз. I benefici del diritto allo studio universitario, infatti, sono legati al reddito del proprio nucleo familiare, con cui si condivide la residenza. Inoltre, per poter risultare assegnatariз di un posto letto in una residenza universitaria, occorre risiedere lontanз dalla propria università. In generale, poi, per chi studia lontano da casa cambiare spesso abitazione è frequente e questo potrebbe causare delle difficoltà nella notifica di atti amministrativi o nella partecipazione a concorsi pubblici.

È evidente quindi che – in tema di diritto di voto – ci sia una forte disparità di trattamento tra coloro che si trovano all’estero e chi vive sul territorio nazionale al di fuori della propria residenza e ciò induce a pensare ad una probabile violazione del principio di ragionevolezza da parte della legge 459/2001, che nulla disciplina in ordine a chi si trova nella seconda situazione.

L’art. 3 della Costituzione non lascia spazio ad equivoci, enunciando in maniera netta uno dei corollari del nostro sistema repubblicano: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

In questa prospettiva giuridica, l’uguaglianza si può tradurre in pari opportunità per coloro che sono chiamatз al voto; pertanto le leggi, anche quando si riferiscono a gruppi di persone determinate, non possono avere carattere personale o singolare, a meno che non sussistano giustificate ragioni. Il principio di ragionevolezza è infatti una naturale conseguenza del principio di uguaglianza, il quale esige che le norme siano adeguate al fine perseguito. Si ha dunque una violazione di questo principio quando si riscontra una contraddizione all’interno di una legge, o tra essa e il fine perseguito.

Dal 2018, sono state presentate in Parlamento cinque diverse proposte di legge per risolvere il problema, ma tutte con lo stesso deludente epilogo. L’ultima in ordine di tempo, arrivava dalla Commissione istituita dal Ministro D’Incà e prevedeva l’istituzione di una tessera elettorale digitale per poter accogliere elettori ed elettrici in seggi diversi da quelli di residenza, ad esempio all’interno degli uffici postali.

La riforma Madia del 2019 prevedeva, invece, due modalità di voto:

– per i referendum, si rendeva possibile la presentazione di una domanda in via telematica tramite SPID almeno quarantacinque giorni prima delle votazioni, presentandosi ai seggi con l’accettazione della domanda;

– nel caso di elezioni politiche ed europee, sarebbe stato previsto il voto per corrispondenza.

Il suo iter è iniziato solo due anni dopo, ma la proposta di legge non è mai stata votata da parte di uno dei due rami del Parlamento.

Il 25 luglio la discussione su questa tematica sarebbe arrivata alla Camera dei Deputati, con la presentazione di un nuovo testo che unificava tutte le proposte depositate, ma ancora una volta la questione è stata rimandata a causa dello scioglimento della legislatura.

In questi quattro anni, l’inerzia del Parlamento di fronte ad una situazione così complessa e urgente ha condotto alla mobilitazione di diverse associazioni, in particolare The Good Lobby insieme al comitato Io voto fuori Sede, che hanno deciso di intraprendere un’azione giudiziaria con lo scopo di sollevare una questione di legittimità costituzionale per violazione del diritto di voto di lavoratorз e studentз fuori sede.

Pertanto, il 10 giugno è stato presentato un ricorso al Tribunale di Genova avverso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’Interno. L’udienza è stata fissata per l’11 novembre 2022 e, in quella sede, si deciderà se chiedere alla Corte Costituzionale di intervenire, auspicando così che si giunga, prima o poi, ad un obbligo di modificare la legge da parte del Legislatore.

A cura di Sara Bruno

SAFETY OR PRIVACY? BALANCING THE PROTECTION OF DIGITAL AND FUNDAMENTAL RIGHTS IN THE EU

Privacy is a highly valued right whose protection became exponentially more important after its combination with new mass-communication technologies. But new technologies may also bring about new problems. Legislation and Government seek to balance the right to privacy and the protection of other human rights regarding Electronic Communication Services.

The right to private communication is considered a human right itself and it is protected as such in both international and national legal provisions. Italy, as one of the members of the European Union, tries to guarantee this right as well, complying with the European standards and regulating it within its legislation. Attached to the stronger protection of privacy, Instant Messaging Platforms have widely spread throughout the last decade, enabling us to share data and media with other users in real-time. The massive success of these new forms of communication has also raised concern over the protection of our private virtual conversations. This led to many software creators developing new technologies to guarantee privacy between customers.

How is Privacy Protected and Attacked in Virtual Conversations?

The most common of these techniques to safeguard users’ privacy is data encryption, by which the message is coded in a way that is only readable to those who share the code of encryption. WhatsApp, one of the most popular platforms, uses a widespread technology of encryption called end-to-end encryption or E2EE. Using this technology, any message and even multimedia information becomes unreadable to any third eye and thus only readable by the final recipient of the information. This technique should protect our privacy even from the service provider. WhatsApp then would only store our information without being able to read the content of the conversations that take place between its users.

While companies try to protect the privacy of their users against interceptions carried out by other individuals or third parties, new modes of hacking this technology arise. The E2EE has also spread the use of spyware, which is an illegal software that hacks devices for the acquisition of a person’s private information without their notice.

Privacy Protection by the authorities – The Case of Italy

In theory, our information is – or should be – only ours. However, that information risks being stolen. When it comes to domestic legislation the level of protection granted may vary. If we analyse the case of Italy, article 15 of its Constitution protects freedom and secrecy of communication in any of its forms. Interception, according to the Italian Criminal Code in its article 617 quarter, is the illicit listening and/or recording of external communication through a mechanic or electronic devices, breaking thus into the private sphere of another. Alternatively, Article 615 bis of the Italian Criminal Code regulates crimes of capturing data and images related to private life. These crimes are regulated as such to ensure the inviolability of the domicile of the person, understanding the virtual data as part of the private sphere of the person, and the interception as a violation of the individual space necessary for personal development of life.

But can the Government access our information? Interception can be carried out by the government only when requested by the Giudice per le Indagini Preliminari and in some circumstances (with the notification and eventual authorization of the same judge), also the Prosecutor, through the judiciary police. These cases are regulated by law in articles 267 and 268 of the Criminal Procedure Code.

Hacking powers are thus given to the authorities in proceedings relating to a list of predefined serious crimes, established in article 266 (1) of the Italian Code of Criminal Procedure and when there is serious evidence of the commission of a crime. Due to the encryption techniques, the acquisition of the information becomes more difficult.

Authorities can request data that, even if it is not the actual content of the conversation, is still highly valuable. The information regarding phone numbers contacted, the device used, the network to which it is connected, the time and length of a conversation, or the IP are stored by the software provider and can be requested by the authorities when necessary.

How far can this go?

Therefore, interception becomes possible when aimed at enhancing our safety but, how far can they go under this justification? Appealing to security can be vague enough to open new situations when interception can take place to the detriment of our right to privacy. For instance, with child pornography, people may think differently when you have to sacrifice one for the other. This is exactly one of the side-effects that may arise from the European Commission’s new proposal, submitted on the 11th of May 2022, for the Regulation “laying down rules to prevent and combat child sexual abuse” (“The Regulation”).

For this purpose, one of the measures that the Commission wants to implement is the obligation of Instant Messaging, Search Engines, and Online Shopping Platforms to monitor the explicit content of the communications between its users within EU Members. The explicit process to reach this goal is not specified by the regulation, thus granting free rein to the companies to find the most effective way to comply. The new regulation introduces an obligation of result, whose means can be directly harmful to digital rights like privacy and secrecy of information.

It is important to note that this draft regulation comes from a different part of the Commission than the rest of the EU’s digital service regulatory efforts. Instead of coming from the Directorate-General for Communications Networks, Content, and Technology, it comes from the Directorate-General for Migration of Home Affairs, which has a reputation for giving primacy to security to the detriment of privacy and digital rights as the secrecy of communication.

Consequences of Renouncing Privacy

Some limits have been set to the Regulation. This new piece of legislation proposes under article 7(4) that the motivating reasons for issuing the interception of the information “must outweigh the adverse consequences for the rights and legitimate interests of all concerned”. In this case, the interest at stake is the protection of children’s rights and the prevention of any kind of harm to them.

Despite the extended opinion of experts which state that tasks of scanning and surveillance are not safe, the European Commission decided to proceed with the Regulation, giving direct access to government and companies to intercept what used to be private and secure communications. EDRi (European Digital Rights) highlighted different ways in which the new regulation can prejudice society, undermine the right to privacy and encourage the misuse of information by malicious actors.

The most likely scenario to perform that task could be the content verification by the company before the encryption or the use of spyware that would remove the obstacle of end-to-end encryption or the possession of the device. The procedure suggested by the Commission is the use of an AI technology called hashing, characterized by doing an algorithmic scan of the information. Data and media are given long codes of numbers and letters and if they match with those inserted in the AI it will come out as positive.

These tools, which are inaccurate and highly risky to the safety of the internet structure, freedom of expression, and autonomy, are already being used in many countries of the world. As has already happened with Pegasus Software, Governments and Companies would have at their disposal valuable information for incrimination purposes coming from lawyers, politicians, activists, and civil society in general.

The impact assessment integrated into the proposal suggests Client-Side Scanning to monitor their users, which would damage our privacy as well as cause exposure to fake positives, the fact that would directly attack the innocence presumption of the people. Everyone who has one of the Instant Messaging Applications will no longer benefit from the illusion of perfect privacy conveyed by encryption techniques, as there might be an “extra” silent participant in these conversations.

Is Rights’ Protection Developing?

This might be a new ground for the political debate about the social importance of the confidentiality of communication and the hierarchy of human rights. The Regulation is still in process, but in case of being approved, the EU will be part of the global pattern which started in 2018, when the alliance between the intelligence services of Canada, New Zealand, Australia, the UK, and the US was created for the enforcement of the law to access encrypted messages. This means that the battle for digital rights is not only on the domestic level, and not even on European, as it transcends to the international level.

Less severe alternatives were possible, and several of them were proposed to the Directorate-General for Migration and Home Affairs, nevertheless, it chose to foster the most stringent measure. Four other proposals suggested non-legislative, practical measures to enhance prevention; detection and reporting of online child sexual abuse, assistance to victims or the implementation of voluntary measures by providers to report abuse”.

The European Union has strong and efficient policymaking on digital rights. Important legislation has been enacted in terms of freedom of expression, access to information, or the right to association. However, when the task of creating a regulation concerning the control exercised on the web is given to a different department, the array of rights granted might vary in the relevance given to each of them. The right to privacy might encounter some limits when it is believed to clash with other “more relevant rights”. The difficult task is to strike a balance between the right to privacy and other fundamental rights (as could be the prohibition of torture for instance) to an extent where the safeguard of one does not happen at the expense of the other. There is no doubt how important the protection of fundamental rights is, especially when it comes to the protection of children. However, the tools used for its persecution must be assessed in terms of efficiency and sustainability, rather than directly lessening others.

A cura di Adriano Lopez Manera

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