Cambiamenti climatici: oltre 11.000 disastri e 3.600 miliardi di danni in soli 50 anni

Il più recente report della WMO (Organizzazione meteorologica mondiale) rubricato “State of climateservices 2020” ha sottolineato come ancora oggi una persona su tre non sia adeguatamente coperta da sistemi di allerta meteorologici adeguati. Si parla, infatti, di oltre 11.000 disastri a causa di eventi meteorologici, 2 milioni di morti, e 3.600 miliardi di dollari di danni economici.

Tale report, stilato da istituzioni finanziarie e ben sedici agenzie internazionali, è stato reso pubblico durante la “Giornata internazionale per la riduzione del rischio di catastrofi”.     Da esso, si evince come il tasso di mortalità per ogni disastro sia diminuito di un terzo negli ultimi cinquant’anni; purtroppo, però, si sottolinea anche come il numero dei disastri sia aumentato di cinque volte, con una crescita di sette volte delle perdite economiche. Nell’ultimo mezzo secolo, infatti, l’intensità, la frequenza e la gravità degli eventi meteorologici estremi sono aumentati drasticamente, soprattutto nelle zone geografiche abitate dalle comunità più vulnerabili. Per quasi il 90% dei piccoli Stati insulari e dei Paesi in via di sviluppoi sistemi di allarme rapido sarebbero una priorità assoluta; tuttavia, nella maggior parte dei casi, mancano gli investimenti finanziari e una disponibilità economica adeguata. Dal 1970 a oggi, i piccoli Stati insulari hanno perso 153 miliardi di dollari a causa dei pericoli legati alle condizioni climatiche.

Le difficoltà più grandi le troviamo in Africa, dove solamente 44.000 persone su 100.000 sono coperte da allarmi precoci adeguati. E questo solamente nei Paesi in cui i dati sono presenti e disponibili. Inoltre, le reti di osservazione meteorologiche sono spesso inadeguate. In Africa si stima che nel 2019 solo il 26% delle stazioni soddisfaceva i requisiti necessari.

“I sistemi di allarme rapido – come dichiarato da Petteri Taalas, Segretario generale della WMO – costituiscono un prerequisito per un’efficace riduzione del rischio di catastrofi e per l’adattamento ai cambiamenti climatici. Essere preparati e in grado di reagire al momento giusto, nel posto giusto, può salvare molte vite e proteggere i mezzi di sussistenza delle comunità di tutto il mondo”.

Nel mondo, nel 2018, il Sistema Umanitario Internazionale ha aiutato quasi 110 milioni di persone a causa di incendi, siccità e inondazioni. Si tratta di una stima molto preoccupante, un campanello d’allarme. Infatti, entro il 2030, tale cifra potrebbe aumentare di quasi il 50%. Il prezzo che pagheremmo sarebbe caro: circa 20 miliardi di dollari all’anno. 

Il report “State of climate services 2020” si fa portavoce di sei raccomandazioni per migliorare i sistemi di allerta precoce in tutto il mondo. In primis, sono e saranno sempre di più necessari investimenti mirati per colmare le lacune soprattutto nei Paesi meno sviluppati, garantire finanziamenti sostenibili del sistema di osservazione, monitorare in modo costante i flussi finanziari, sviluppare maggiore coerenza nella valutazione e nell’efficacia dei sistemi di allerta, eliminare le differenze e le mancanze dei dati.

“Mentre il Covid-19 ha generato una grande crisi sanitaria ed economica internazionale dalla quale ci vorranno anni per riprendersi – ha detto ancora Taalas – è fondamentale ricordare che i cambiamenti climatici continueranno a rappresentare una minaccia crescente per le vite umane, gli ecosistemi, le economie e le società per i secoli a venire. La ripresa è un’opportunità – ha concluso Taalas – per andare avanti lungo un percorso più sostenibile verso la resilienza e l’adattamento alla luce dei cambiamenti climatici”.

Nelle aule di giustizia e tra i giuristi comincia lentamente a prendere corpo l’idea che esista un vero e proprio diritto al clima, da tutelare e proteggere. Il versante politico di queste raccomandazioni deve infatti necessariamente affiancarsi a un’evoluzione giuridica che favorisca il radicamento di un’adeguata salvaguardia dell’ambiente tanto nella cultura e nell’opinione pubblica quanto nella legislazione dei vari Stati. 

StraLi, in conformità ai propri principi, auspica che le raccomandazioni e gli obiettivi dello sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 siano un invito all’azione da parte di tutti i Paesi, per promuovere una maggior consapevolezza e rispetto nei confronti del nostro Pianeta, affrontando i cambiamenti climatici e la protezione ambientale. 

SICUREZZA E IMMIGRAZIONE: QUALCHE TIMIDO PASSO AVANTI

Tanto vi abbiamo tediato con i Decreti (in)Sicurezza che ora non possiamo che accogliere positivamente la notizia arrivata da Palazzo Chigi, ove lo scorso 5 ottobre il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto-legge che apporta modifiche alla disciplina vigente in materia di sicurezza delle città, immigrazione e protezione internazionale.

Il decreto introduce “Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifica agli articoli 131-bis e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento e di contrasto all’utilizzo distorto del web”.

Le prime modifiche riguardano alcuni dei punti più criticati durante la vigenza dei decreti Salvini, come i requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno per esigenze di protezione del cittadino straniero, i limiti all’ingresso e il transito di unità navali in acque territoriali italiane. Viene inoltre prevista l’inapplicabilità ad alcune fattispecie di reato dell’art. 131 bis del codice penale (per i non giuristi: è una causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto per cui, riassumendo molto, ove si tratti di reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni, quando l’offesa è particolarmente tenue e il comportamento non è abituale il soggetto agente non verrà punito).

Per la legge vigente era già previsto il divieto di espulsione e respingimento nel caso in cui il rimpatrio avesse determinato, per l’interessato, il rischio di tortura. Con le modifiche introdotte dal nuovo provvedimento si prescrive inoltre che il divieto valga anche nelle situazioni in cui lo straniero rischi di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti e altresì nei casi di rischio di violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare. Per tali casi, infatti, è previsto il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale. È poi in parte modificata la possibilità di convertire i permessi di soggiorno rilasciati per altre ragioni in permessi di lavoro.

Sempre in tema immigrazione, viene riformato il sistema di accoglienza destinato ai richiedenti protezione internazionale e ai titolari di tale protezione: nasce SAI (sistema di accoglienza e integrazione). Le attività di prima assistenza continueranno a svolgersi nei centri governativi ordinari e straordinari per poi articolarsi in un secondo momento in due livelli di prestazioni (una per i richiedenti e una per i titolari di protezione internazionale).

Il Decreto interviene poi a modificare le sanzioni relative al divieto di transito delle navi nel mare territoriale: ricordate le maxi sanzioni amministrative alle ONG? Se sì, dimenticatele. Nel caso in cui ricorrano i motivi di ordine e sicurezza pubblica o di violazione delle norme sul traffico di migranti via mare, il provvedimento di divieto sarà adottato su proposta del Ministero dell’interno ma di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture, previa informazione al Presidente del Consiglio. Per le operazioni di soccorso non si applicherà il divieto di transito nel caso in cui vi sia stata la comunicazione al centro di coordinamento ed allo Stato di bandiera e siano rispettate le indicazioni della competente autorità per la ricerca ed il soccorso in mare. In caso di trasgressione la disciplina sanzionatoria è contenuta nel Codice della navigazione: reclusione fino a due anni e multa da 10.000 a 50.000 euro.

Su un altro versante il decreto rafforza il “Daspo urbano”, per cui il Questore potrà applicare il divieto di accesso nei locali pubblici anche nei confronti di soggetti che abbiano riportato una o più denunce o una condanna non definitiva, nel corso degli ultimi tre anni, relativamente alla vendita o cessione di sostanze stupefacenti o psicotrope. La violazione del divieto prevede la pena della reclusione da sei mesi a due anni e la multa da 8.000 a 20.000 euro.

Si estende poi l’oscuramento di siti che, sulla base di alcuni elementi oggettivi, si ritengono utilizzati per la commissione di reati in materia di stupefacenti.

Ancora, vengono inasprite le pene per i soggetti coinvolti in risse (588 c.p.): se da questa deriva la morte o lesioni personali di un soggetto, la sola partecipazione è punita con la reclusione da 6 mesi a 6 anni.

Infine sono previste disposizioni per prendere più efficace l’esercizio delle attività del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, si stabilisce un rafforzamento delle sanzioni applicate in caso di comunicazioni dei detenuti sottoposti alle restrizioni di cui al famoso articolo 41-bis e si prevede una nuova fattispecie di reato che sanziona chi introduce o detiene all’interno di istituti penitenziari telefoni cellulari o dispositivi mobili di comunicazione.

Per non far mancare una nota critica si può notare l’incidenza del provvedimento su svariati ambiti di intervento. Questo è un malcostume giuridico che purtroppo sembra irreversibile nel nostro Paese: oltre all’abuso della decretazione d’urgenza come strumento per legiferare (quindi privando il parlamento della propria specifica funzione), ormai le leggi spaziano su ambiti che hanno poco a che vedere gli uni con gli altri.

Insomma le novità ci sono, a nostro avviso più o meno positive. Certo, prima di giungere ad una normativa pienamente rispettosa dei diritti umani in materia di immigrazione bisognerà ancora lavorare molto ma possiamo dirci in parte soddisfatti del parziale superamento dei decreti (in)Sicurezza.

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