LA PROCEDURA D’INFRAZIONE CONTRO POLONIA E UNGHERIA, SPIEGATA

Dopo mesi di tentativi di dialogo e botta e risposta in seno alle istituzioni europee, il 15 luglio 2021, come comunicato in una nota ufficiale, la Commissione Europea ha avviato due procedure d’infrazione a carico di Polonia e Ungheria in materia di uguaglianza e tutela dei diritti fondamentali: l’azione è stata presa come risposta formale alle sempre più stringenti e discriminatorie politiche dei due Paesi contro la comunità LGBTQ+.

La procedura d’infrazione è un procedimento giurisdizionale che la Commissione Europea ha competenza ad avviare quando ritiene che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi imposti dal diritto dell’Unione. Ciò può verificarsi se lo Stato in questione emana una disposizione o pone in essere una prassi in contrasto con una norma comunitaria, oppure se manca di dare attuazione al diritto europeo.

Nel caso specifico, la norma fondamentale tirata in ballo dalla Commissione è l’articolo 2 del Trattato sull’Unione Europea e i principi di dignità e rispetto per i diritti umani da esso difesi.

Secondo l’articolo, “l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.

I governi di Polonia e Ungheria da tempo conducono politiche che si pongono in aperto contrasto con tali principi, specialmente per ciò che riguarda la tutela delle minoranze e della comunità LGBTQ+.

Al governo di Victor Orban, in particolare, si imputa una spietata propaganda discriminatoria che è culminata a giugno, con l’emanazione di una legge che ha vietato o limitato l’accesso a contenuti che promuoverebbero omosessualità, riassegnazione del sesso o autodeterminazione dell’identità di genere per i minori di 18 anni – ne abbiamo parlato in questo articolo.

Per quanto concerne il governo polacco, la Commissione ha dichiarato che non vi sia stata un’adeguata risposta all’indagine condotta sulla natura sulle cosiddette “zone libere da ideologia LGBT”. Si è trattato di un fenomeno che ha avuto origine nel 2019, quando oltre un centinaio di enti locali della Polonia hanno adottato risoluzioni in cui, più o meno direttamente, si sono dichiarati “liberi dall’ideologia LGBTQ+” e impegnati a difendere la tradizionale famiglia cattolica. Le iniziative avevano trovato il beneplacito del partito di governo Diritto e Giustizia, già assestato su posizioni estremamente conservatrici e clericali. Già nel 2020, la Commissione si era espressa in senso contrario a queste risoluzioni e il Parlamento Europeo aveva dichiarato l’intera Unione LGBTIQ Freedom Zone.

Ma in cosa consiste esattamente la procedura d’infrazione e che conseguenze può produrre sul piano concreto?

Questa prima fase ha visto la Commissione inviare una lettera ufficiale di costituzione in mora a entrambi i Paesi, in cui ha evidenziato le criticità e il contrasto al diritto dell’Unione. Ungheria e Polonia hanno ora due mesi di tempo per rispondere in maniera esaustiva alle argomentazioni avanzate dalla Commissione – e/o rimuovere le disposizioni in contrasto col diritto dell’Unione.

Qualora la risposta mancasse o non fosse soddisfacente e la Commissione dovesse concludere che i due Paesi sono venuti meno agli obblighi comunitari, potrà inviare una richiesta formale di conformarsi al diritto dell’Unione, nonché di comunicare tutte le misure adottate per tale conformazione, determinando un termine preciso. Se i Paesi continueranno a non conformarsi al diritto europeo e a non adottare misure adeguate, la Commissione potrà deferire alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che valuterà eventuali sanzioni anche pecuniarie.

La procedura è senza dubbio lenta: la maggior parte dei casi si risolve prima di essere sottoposta alla Corte. Inoltre, nelle ultime ore il governo di Orban avrebbe dichiarato che intenderebbe ricorrere a una consultazione popolare sulla legge che ha provocato la procedura d’infrazione, per attribuire legittimità al provvedimento nel mirino della Commissione.

Anche a fronte di un iter e di una battaglia che si preannunciano travagliati, StraLi non può che appoggiare l’attesa decisione della Commissione Europea. Era tempo che le istituzioni europee tutte rivendichino con maggior forza il loro ruolo di difensori e garanti dei diritti di tuttз: ora ci auguriamo che la procedura d’infrazione non sia che la prima azione perché l’Unione sia davvero il baluardo dei diritti umani e di tutta la cittadinanza europea.

A cura di Greta Temporin

ALLARME PFAS: COSA SONO LE SOSTANZE ETERNE DI CUI TANTO SI PARLA E CHE FANNO MALE ALLA SALUTE?

Il 1 luglio si è svoltadinanzi la Corte di Assise di Vicenza la prima udienza del processo penaleper avvelenamento delle acque, disastro doloso, inquinamento ambientale e bancarotta fraudolenta a carico di15 imputati, tra cui i manager di Mitsubishi Corporation, della lussemburghese International Chemical Investors (controllante di MiteniS.p.A. dal 2009) e della Miteni stessa. È poiimputata lasocietà, con l’accusa di bancarotta per il mancato accantonamento delle somme necessarie per la bonifica dei terreni e delle acque contaminate.

La Miteni S.p.A. è un’azienda di Trissino (VI), considerata dall’accusa la causa dell’inquinamento delle falde acquifere da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) in Veneto e quindi dell’avvelenamento di oltre 300 mila abitanti di tre province venete. La Miteni, entrata in attività nel 1964, è specializzata nella produzione di molecole fluorurate per la farmaceutica, l’agricoltura e l’industria tecnica e, secondo l’accusa, avrebbe effettuato degli sversamenti di queste sostanze altamente tossiche per l’organismo che sono utilizzate in moltissime applicazioni industriali e prodotti di largo consumo.

Si tratta di sostanze chimiche con caratteristiche uniche per la produzione industriale che mirano a rendere un materiale antiaderente, impermeabile, antimacchia, resistente ai grassi. Le possiamo trovare nelle vernici, nei trattamenti in industrie tessili, nelle schiume antincendio, negli articoli in carta, negli imballaggi e in tantissimi altri prodotti sino ad arrivare in ambito alimentare, ove i Pfas sono utili per realizzare contenitori per alimenti, utensili da cottura e pentole.

Sebbene tali sostanze abbianoportato innovazione in molti settori industriali, alcunericerche vi hanno collegatodiversi effetti negativi sulla salute e sull’ambiente. Secondo gli studi, i Pfassono riconosciuti come interferenti endocrini e sono in grado di alterare i processi dell’organismo che coinvolgono gli ormoni, responsabili dello sviluppo, del comportamento, della fertilità e di altre funzioni cellulari essenziali. Epatotossicità, immunotossicità, neurotossicità, alterazioni nella riproduzione e nello sviluppo sono solo alcuni degli effetti che diversi studi associano ai Pfas1. (Per approfondire gli effetti dei Pfas sulla salute umana, ecco una recente infografica pubblicata sul sito dell’AEA – agenzia europea dell’ambiente https://www.eea.europa.eu/it/segnali/segnali-2020/infografica/effetti-delle-pfas-sulla-salute-umana/view).

Come dicevamo, gli effetti di queste sostanze riguardano altresì l’ambiente ove persistono nel tempo visto il loro lento degrado. I Pfas possono penetrare facilmente nelle falde acquifere raggiungendo i campi attraverso l’acqua e, di conseguenza, raggiungere i prodotti agricoli ed entrare così nella catena alimentare. Proprio ciò che sembra essere successo in Veneto nelle province di Vicenza, Verona e Padova, ove l’inquinamento è stato scoperto nel 2013 e l’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ha calcolato il danno ambientale provocato dalle sostanze perfluoroalchiliche in 136,8 milioni di euro.

Ad alte concentrazioni, oltre che per l’uomo, tali sostanze sono tossiche per tutti gli organismi viventi e tendono ad accumularsi nell’organismo attraverso dei processi di bioamplificazione (che avvengono quando gli organismi ai vertici della piramide alimentare ingeriscono quantità di inquinanti superiori a quelle diffuse nell’ambiente).

Come accennato sopra, i Pfas si prestano ai più svariati utilizzi e negli ultimi anni, soprattutto dopo la messa al bando dei prodotti di plastica monouso da parte della Direttiva UE 2019/904 (da recepire in tutta l’Unione Europea entro il 3 luglio 2021), si è avuto un incremento di soluzioni alternative, in particolare nei materiali destinati al contatto con gli alimenti (MOCA).

Ed è in questo settore, più che in altri, che è fondamentale indagare sulla presenza dei Pfas e sugli effetti negativi loro correlati. Si pensi ai contenitori che spesso vengono utilizzati in luogo della plastica e che vengono generalmente classificati come compostabili: in questi prodotti l’uso di alcuni acidi perfluoroacrilici è legalmente ammesso. Classico esempio sono le nuove stoviglie monouso a base di polpa di cellulosa (simili alla carta e al cartone) già ampiamente utilizzati sia nelle mense scolastiche sia nella ristorazione d’asporto che sembrano ecologiche, sostenibili e amiche dell’ambiente.

Ma queste alternative sono davvero migliori rispetto alla plastica? Purtroppo non sempre, secondo le analisi di Altroconsumo e di altre organizzazioni di consumatori europee. Infatti, dietro un’apparente “compostabilità e naturalità” di questi prodotti si nascondono in realtà diverse sostanze chimiche pericolose per la salute che potrebbero migrare negli alimenti e, se trattate come materiale organico e smaltite nell’umido, che sono potenzialmente in grado di inquinare in maniera persistente suolo e acqua.

I risultati delle varie analisi che sono state fatte non sono stati tranquillizzanti ed è evidente che siamo di fronte ad un problema che necessita di soluzioni politiche e legislative urgenti. Tuttavia, in Italia e in Europa tutto tace, o quasi.

Vero è che allo stato attuale sarebbe difficile effettuare delle valutazioni approfondite in ordine al rischio ambientale e sanitario di tutti i Pfas utilizzati in Europa (tante sostanze e tanti usi) ma è indubbio che serva quantomeno una regolamentazione di questi contaminanti “per evitare che i costi legati agli effetti negativi sulla salute umana superino quelli necessari alla sostituzione degli stessi” (Luca Foltran, “Le sostanze eterne. È la definizione data ai PFAS dalla multinazionale che li brevettò”., in Alimenti&Bevande Anno XXIII – 5 – giugno 2021, pagg. 19-23).

Un’azione immediata a questi fini è ciò che raccomandavano nel 2019 alla Commissione Europea le autorità di Svezia, Danimarca, Germania e Paesi Bassi che hanno elaborato un piano strategico per eliminare i Pfas entro il 2030. Solo un anno più tardi la Commissione ha promesso di agire nel contesto della strategia sui prodotti chimici per la sostenibilità e verso un ambiente privo di sostanze tossiche, ammettendo che è necessario porre un’attenzione particolare verso queste sostanze visti i numerosi casi di contaminazione ambientale e, soprattutto, le persone colpite da malattie ad essi potenzialmente correlabili.

Tuttavia, dopo un anno, l’unico stato membro ad avere concretamente mosso dei passi in avanti è la Danimarca che, in maniera indipendente dall’UE, ha deciso di vietare l’impiego dei Pfas in imballaggi e materiali a contatto con gli alimenti in carta e cartone dal 1 luglio del 2020, evidenziando tra l’altro l’esistenza di alternative possibili ed effettivamente sostenibili.

Restiamo dunque in attesa di seguire lo svolgimento del processo vicentino (la prossima udienza sarà a settembre) con la speranza che possa trasformarsi in un’occasione per dare visibilità al problema e sollecitare, nelle more di una regolamentazione europea, l’Italia stessa a dare il buon esempio in ambito di sostanze perfluoroalchiliche, sia per proteggere la salute dei cittadini che per garantire un beneficio reale per l’ambiente.

A cura di Laura Olivero

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